Nel desolante panorama di tanti rappresentanti della Chiesa in ritirata su tutti i fronti a causa della pandemia del coronavirus, il nostro cuore ha esultato di gioia alla decisione della CEI, cui si è unito anche papa Francesco, di recitare il 19 marzo scorso, festività di San Giuseppe, un rosario per con il quale si implorava l'intervento del Padre Putativo di Nostro Signore per salvare l'Italia da questo flagello.
Un evento che, come si può facilmente immaginare, non si è poi limitato solo all'Italia, ma ha visto la partecipazione di tanti altri fedeli cattolici (e forse anche non cattolici) in Europa e nel mondo.
Secondo i dati disponibili, il Rosario trasmesso in diretta alle 21 di giovedì 19 marzo su TV2000, la rete televisiva dei vescovi italiani, è stato seguito da oltre 4 milioni di persone (Corriere della Sera, 20 marzo 2020), con un record di oltre il 13% di share, a detta degli esperti.
Se secondo i loro criteri mediatici si tratta di un picco eccezionale, da un altro punto di vista sembrerebbero un risultato piuttosto modesto, se pensiamo che gli abitanti in Italia sono più di 60 milioni.
Però si tratta comunque di un segnale molto incoraggiante, che non va assolutamente sottovalutato, anche perché molti fedeli, compreso il sottoscritto, pure unendosi a questa recita, non hanno potuto seguire la diretta perché il sito tv era inaccessibile, a motivo probabilmente proprio di un tale sovraccarico.
Come sia, bisogna plaudire all'idea che sicuramente la scelta di rivolgersi a San Giuseppe non poteva essere più indovinata, e per tutta una serie di motivi che andremo a spiegare più oltre.
Pur reputandomi un devoto di lungo corso del santo Patriarca, cui dedico preghiere e invocazioni ogni giorno e specialmente in questo mese di marzo a lui dedicato, onestamente mi stava quasi sfuggendo l'importanza del suo ruolo nella situazione odierna dell'Italia, se non mi fosse stato ricordato dall'omelia di un sacerdote dell'Istituto del Buon Pastore, nel corso della messa serale celebrata in diretta streaming per la festa del Santo.
In sostanza, non c'è santo migliore di San Giuseppe che si possa invocare in questi momenti di grave emergenza sanitaria. Tra i tanti titoli onorifici di cui gode, vi è quello di patrono degli infermi, come viene puntualmente ricordato nelle litanie a lui dedicate nelle varie orazioni che sono promosse in Italia e nel mondo della Pia Unione del Transito di San Giuseppe
http://www.piaunionedeltransito.org/pia/index.php?option=com_content&view=featured&Itemid=101&lang=it
la cui sede si trova nella basilica di San Giuseppe al Trionfale in Roma. Ma dato che è anche patrono dei moribondi e degli agonizzanti, ne consegue che per antonomasia è quindi patrono di tutti i sofferenti e di quanti si trovano in difficoltà per qualunque motivo. E quali difficoltà più gravi di coloro che si trovano prossimi alla morte soli e senza conforto, né religioso e-o familiare, come ci raccontano le strazianti cronache di questi giorni? Anche in questo caso, il nostro Santo rappresenta il modello ideale, perché nella sua agonia e morte fu assistito da Gesù e di Maria, tanto che in una antica devozione al Santo detta delle "Sette Suppliche”, alla sesta si parla della sua morte in questi termini: "Potendosi la vostra morte chiamare morte d'amore piuttosto che di malattia". Penso che tutti, anche i più incalliti atei, ci metterebbero la firma per essere assistiti in morte da Gesù e da Maria. Chiediamo quindi con fiducia a San Giuseppe di riunire la sacra famiglia al capezzale di queste anime sventurate per assisterle nel loro trapasso, ed è certo che neanche i congiunti più amorevoli o il sacerdote più zelante potrebbero offrire un’assistenza migliore.
Oltre al fatto che San Giuseppe meriterebbe di essere ancor più conosciuto e invocato, purtroppo spesso di lui si ha un’immagine un po’ distorta ed edulcorata, che non corrisponde alla realtà. In genere si pensa a lui in maniera astratta e quasi sdolcinata, come il padre putativo di Gesù, capo della Sacra Famiglia, patrono della Chiesa universale e in quanto falegname anche patrono dei lavoratori.
Ma se invece si guarda con più attenzione alla sua vita, come ce la descrive la devozione del mese di marzo a lui dedicato in un vecchio libretto di preghiere, “Filotea ossia l’Anno Santificato” (Roma, 1923, pagg. 220-272) del padre Raffaele Ballerini, ci si rende conto che, anche se alternata a momenti di grande consolazione, fu un calvario morale e fisico continuo, a cominciare dallo sgomento che provò quando si accorse della maternità di Maria, fino a quando un angelo non gli rivelò tutto. Ma questo non era che l'inizio, perché poi la sua vita fu un tumultuoso susseguirsi di eventi da togliere il respiro al solo pensarci.
In estrema sintesi, basti pensare ai disagi del viaggio fino a Betlemme per il censimento ordinato dalle autorità romane, all'angoscia e dolore di non poter trovare un luogo idoneo per il parto della sua giovane sposa, tanto da doversi sistemare in una grotta adibita a stalla, per non parlare poi della fuga da Erode, quando San Giuseppe fu svegliato dall'Angelo nel cuore della notte con il comando di lasciare immediatamente la sua casa per mettere la famiglia al sicuro in Egitto. A parlare si fa presto, ma mettiamoci nei suoi panni: deve veramente costare uno sforzo sovrumano alzarsi nel cuore della notte, svegliare la sua sposa con il bambino, fare in fretta il bagaglio necessario e fuggire via, non dietro l'angolo e non in aereo, treno o auto, ma addirittura in un paese straniero a settimane di cammino, per restarvi confinato senza avere la minima idea di quanto sarebbe durato l’esilio. E’ovvio che la Provvidenza del Signore vegliava su di loro, ma ciò non toglie che il lato umano avrebbe richiesto il suo tributo, come sarà infatti puntualmente avvenuto. Tanto per dirne una, al povero Giuseppe non sono certo stati risparmiati l'angoscia e il timore che i sicari potessero essere sempre in agguato, non solo durante il viaggio, ma anche durante la permanenza in Egitto. E perfino anche dopo il suo ritorno nella terra natia, dopo sette anni di esilio, quando l'Angelo annunciò che Erode era morto e quindi si poteva fare ritorno a casa. E come non temere che anche il suo successore Archelao potesse nutrire gli stessi sentimenti omicidi del padre, una volta appurato che Gesù era scampato alla strage? E comunque anche i sette anni di esilio non furono certo una passeggiata, dovendo reinventarsi il suo lavoro di artigiano per mantenere una famiglia in un paese sconosciuto, pagano e idolatra, con usi e costumi totalmente diversi.
Se, come dice Sant'Agostino, vita milizia est, allora San Giuseppe rappresenta il perfetto modello del combattente e militante cristiano ante litteram, per la sua incrollabile fedeltà alla volontà divina lungo tutto l'arco della sua vita. E se il Vangelo lo descrive come uomo "giusto", vuol dire che la sua è stata una obbedienza alla volontà divina totale e senza tentennamenti, e soprattutto senza quelle proteste e mugugni tipici della nostra epoca contemporanea, dove conta soltanto la nostra volontà e quella di Dio neanche sappiamo cosa sia. Parlando sempre del lato umano, è molto probabile che sia stato a volte tentato non dico di ribellarsi, ma almeno di lamentarsi con Dio affinché gli rendesse la vita un po' meno complicata. Ma attenzione, la tentazione non è il peccato, anzi proprio nella vittoria sulle tentazioni rifulge ancor di più la santità, ed è questo esattamente il caso di San Giuseppe.
Se però ci preme una grazia grande e urgente, penso che non ci si possa e non ci si debba limitare ad un solo rosario per onorare il Santo nel giorno della sua festa. A questo riguardo vorrei citare un interessante precedente, del quale non si parla molto spesso e che dimostra ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la potenza del Santo Rosario. Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale le truppe sovietiche avevano occupato parte dell'Austria, Vienna compresa, e sembrava che non avessero alcuna intenzione di ritirarsi. In quell'occasione fu un religioso, il cappuccino Petrus Pavlicek, che promosse una crociata del Rosario per liberare il paese da quella ingombrante presenza e fu così che le truppe si ritirarono apparentemente senza alcuna spiegazione.
Visto che lo stesso Vangelo ci esorta a bussare con insistenza alla porta delle grazie, perché non continuare il rosario del 19 marzo scorso, sul modello del precedente austriaco, fino a quando la grazia non sarà stata ottenuta?
Ovviamente l'ideale sarebbe che questa crociata del Rosario venisse guidata da un religioso, un sacerdote o comunque un consacrato (e perché no Papa Francesco stesso, come ha fatto il 19 marzo?), Iniziativa che potrebbe avere presto un respiro mondiale perché questo virus sta infettando tutto il mondo. E la cosa non sarebbe poi così difficile, grazie ai mezzi offerti dalla moderna tecnologia, per cui si possono coordinare migliaia, centinaia di migliaia e magari anche milioni di rosari che salgano verso il cielo quasi in contemporanea.
Mi pare poi anche molto propizia la coincidenza che questo si svolgerebbe durante la Quaresima, e che implicherebbe un supplemento di preghiere, digiuni, penitenze e quelli che un tempo si chiamavano “fioretti”. Per non parlare poi della clausura forzata di quanti non possono uscire e magari si trovano a vivere in un angusto appartamento cittadino. Qualcuno potrebbe obiettare: e se poi la grazia della sconfitta del virus non arriva? La risposta non è complicata. Innanzitutto bisogna partire dalla premessa che non si può onorare San Giuseppe se prima non si onora la sua sposa, Maria Santissima, e il rosario assolve a questa funzione. Poi si deve pregare con il giusto spirito, ossia innanzitutto per la sconfitta del virus morale, cioè il peccato, e di conseguenza per quello fisico che attacca e uccide i corpi.
Questo ovviamente per i credenti in generale, mentre invece per gli altri che volessero unirsi comunque alla preghiera, per renderla veramente efficace dovrebbero prendere il serio impegno di cambiare vita una volta ottenuta la grazia.
Allora, comincia questa crociata del Rosario e magari dopo tot giorni non succede nulla, come è successo a me quando chiedevo le grazie a San Giuseppe. Allora, per usare una terminologia medica, visto che siamo in argomento, bisogna aumentare la dose, ossia aggiungere altre preghiere. Già, ma quali? Non c'è che l'imbarazzo della scelta, perché infatti basta rivolgersi alla Pia Unione di cui sopra. Se dipendesse da me, opterei senz'altro per la preghiera nota come Sacro Manto a San Giuseppe. E se poi anche questo non bastasse, vi si possono aggiungere novene, tridui e quant'altro. Forse troppo? Certo, non è poco, ma se si vuole il fine bisogna anche volere i mezzi,e se il fine è grande, anche l’impegno non può essere da meno. In base alla mia esperienza, alla fine il Santo cede e concede la grazia.
D'altronde, per chi conosce il Sacro Manto, ad un certo punto si cita santa Teresa D’Avila, che testualmente afferma: "Qualunque grazia si domanda a San Giuseppe verrà certamente concessa".
E non sarebbe una cattiva idea se anche il capo del governo italiano Giuseppe Conte, che se non sbaglio si definisce un cattolico devoto di padre Pio e porta il nome del Santo, si unisse alla crociata di preghiera.
21 marzo 2020, festa di San Benedetto, patrono d’Europa e patriarca di tutti i monaci d’Occidente
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