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Se voi canterete il vostro “Bella ciao”, noi canteremo il nostro “Noi vogliam Dio”



(Parafrasando il detto di un famoso personaggio storico)

Una delle caratteristiche più singolari di questa pandemia che stiamo vivendo, è stata quella di adottare il noto canto partigiano “Bella ciao” con finalità che si potrebbero definire esorcistico-taumaturgiche, al fine di compattare gli italiani in vista di un corale sforzo per superare queste avversità al motto di "uniti ce la faremo".

“Bella ciao” è anche piuttosto noto all’estero, tanto da essere percepito come un canto nazionale che rappresenta tutta l’Italia e gli italiani nel loro complesso. Ad esempio, un video apparso sul Corriere della Sera (21 aprile 2020) mostrava una squadra di pompieri inglese che intonavano questo canto in segno di solidarietà con l’Italia e con i colleghi italiani in piena emergenza coronavirus. Oppure, ancora più singolare, il caso delle moschee di Smirne, terza città della Turchia, dove nella sera del 20 maggio scorso in pieno Ramadan, invece che del consueto invito alla preghiera, gli altoparlanti dei minareti hanno trasmesso le note appunto di “Bella ciao”, probabilmente come atto di protesta contro la politica del presidente turco Erdogan. Fonti vicine al governo hanno parlato di “sabotaggio” e “provocazione” e sono in corso indagini per individuare i responsabili di questo reato di “vilipendio pubblico dei valori religiosi”. Smirne, la terza città turca, viene considerata una storica roccaforte dell’opposizione laica di sinistra e chissà che gli autori del gesto non abbiano scelto di proposito di accentuare lo sfregio alla politica d’islamizzazione del governo con una musica vista come espressione di un paese al centro del cattolicesimo.

Comunque la prima osservazione da fare è che questo canto in realtà non rappresenta tutti gli italiani, anche se alla lotta partigiana contribuirono pure forze non comuniste e non di sinistra; questo movimento, però, finì per essere egemonizzato dagli esponenti del comunismo di osservanza sovietica.

Inoltre, il fenomeno partigiano è relativamente recente ed infatti il 25 aprile scorso è stato celebrato il suo 75º anniversario.

Per via dell’isolamento imposto dall’emergenza coronavirus, l’iniziativa è stata lanciata sui social network e alle 15 dai balconi di tante città italiane è risuonato questo canto tradizionalmente legato alla festa della Liberazione. Vi hanno aderito migliaia di cittadini nonché diversi sindaci, in particolare di Bari, Milano, Bologna, Brescia e Roma. Addirittura ci sono stati gruppi di persone scese in strada a sfilare in corteo, contravvenendo bellamente a tutte le disposizioni anti-contagio delle autorità, tanto che sarebbe interessante sapere poi quanti di questi manifestanti verranno effettivamente denunciati e perseguiti.

Tornando in argomento, facciamo notare che questi 75 anni sono veramente pochini se messi a confronto con un altro fenomeno ben più unificante è rappresentativo dell'identità nazionale, che caratterizza la storia d'Italia da due millenni: il cattolicesimo. Ecco perché, senza alcun intento polemico, preferisco cantare il "Noi vogliamo Dio" e non "Bella ciao", perché mi sento ben più protetto e rassicurato riguardo alla "liberazione" dal virus, anche alla luce delle previsioni di vari scienziati secondo i quali dovremo aspettarci altre future ondate di questo flagello.

Già in passato, alla vigilia di cruciali sviluppi politici, per ricordare l'importanza della salvaguardia della identità nazionale il Centro Culturale Lepanto aveva fatto sentire la sua voce con due manifesti a pagamento, che uscirono su importanti quotidiani nazionali l'8 ottobre 1991, il 12 ottobre e il 1 novembre successivi, sotto il medesimo titolo: "Disfare l'Italia. Per disfare gli italiani?"

Dopo aver opportunamente sottolineato che la soluzione dei problemi che affliggevano la nazione italiana andava ricercata in quel patrimonio di valori e principi che l’avevano resa grande nei secoli, ricordava la fondamentale distinzione tra Stato e nazione. Mentre lo Stato è la forma politica e giuridica della società civile, la nazione è una realtà spirituale unitaria che affonda le sue radici, prima ancora che nel territorio e nella lingua, nella tradizione e nel patrimonio di civiltà di un popolo. Quindi, l'Italia pre-unitaria, benché divisa in molti Stati, costituiva una nazione dalla storia più che millenaria, una storia intimamente legata come forse nessun’altra alla missione universale e salvifica di Roma, sede del vicario di Cristo e cattedra dell'unica vera fede e della sua legge morale.

Questo manifesto, anche se di molti anni fa, conserva una sua attualità impressionante, non solo perché metteva in guardia dal pericolo di un disfacimento delle strutture dello Stato nazionale, ieri in conseguenza di eventuali riforme politiche e oggi di una immigrazione illegale e incontrollata, ma anche perché fornisce la chiave di volta per la rinascita del nostro paese: tornare a corrispondere alla speciale vocazione degli italiani, che consiste nel mettere gli speciali talenti ricevuti dalla divina Provvidenza al servizio non di interessi particolaristici, ma della verità e del bene universale. E quindi propiziare il ritorno alla legge divina e naturale, animato da quello spirito di sacrificio e di lotta con un totale abbandono alla volontà celeste, che ha ricolmato l'Italia di tante grazie e benedizioni nel corso della sua storia.

Ma allora, “Bella ciao” e proprio del tutto fuori luogo? Forse non del tutto, perché nella sua prima strofa si canta “una mattina mi son svegliato ed ho trovato l'invasor”. Ieri si trattava dell'invasore nazista appoggiato dal regime politico di allora, i fascisti, oggi si tratta di un altro tipo di invasione, un’immigrazione incontrollata a forte connotazione islamica, anche in questo caso appoggiata dal regime politico vigente, gli anti-fascisti.

Ma qualche buonista di complemento potrebbe obiettare che parlare di invasione è un po' esagerato. Però, il termine di “invasione” figurava nel titolo di un libro, “L'invasione silenziosa” appunto, scritto a quattro mani assieme all'amico e collega Guido Vignelli già nel lontano 2002.

Fu il primo libro in assoluto in Italia, a quanto mi ricordi, che denunciava senza mezzi termini i gravissimi rischi che avrebbe comportato un'immigrazione illegale e incontrollata, che oggi sono sotto gli occhi di tutti.
Nelle polemiche suscitate dall'uscita di questo libro non mi pare di ricordare che qualcuno abbia mai contestato il termine "invasione" e quindi se era applicabile già allora, quando il fenomeno degli arrivi cominciava ad essere caratterizzato da numeri sempre maggiori, figuriamoci nella situazione di oggi.

Un fenomeno diventato così esteso e apparentemente inarrestabile che analisti e commentatori hanno cominciato ad intravedervi la realizzazione del cosiddetto “piano Kalergi”, dal nome del conte austriaco Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi (1894-1972), politico e filosofo descritto come il padre dei padri fondatori del progetto di unificazione europea, per la cui riuscita aveva teorizzato la necessità di sostituire gli autoctoni popoli europei mediante il loro meticciamento con crescenti masse di immigrati afro-asiatici. In tal modo ne sarebbe risultata una popolazione assai più docile e facilmente controllabile da parte della ristretta e “illuminata” casta dominante. Questa la descrizione del piano in estrema sintesi, che si può approfondire con una veloce ricerca su Internet.

Anche a chi volesse contestare il concetto di sostituzione, si può far notare che tanti, troppi accadimenti in Italia e in Europa vanno esattamente in questa direzione, nonostante le affermazioni in senso contrario, che restano sempre solo parole, mentre poi alla fine sono solo i fatti che danno il vero polso della situazione.

Tanto per restare in Italia, basti pensare all'attuale progetto del governo di regolarizzare con permessi temporanei centinaia di migliaia di clandestini, motivato con l’urgenza di venire incontro alla domanda di manodopera da parte del settore agricolo, trovatosi improvvisamente sguarnito a causa delle conseguenze della pandemia. Ma chi potrà garantire che questa massa di persone, una volta regolarizzata, andrà veramente a lavorare nei campi? Quanti saranno gli imprenditori del settore che invece di impiegare manodopera a bassissimo costo, saranno disposti a fare contratti regolari? E quanti saranno quegli immigrati che alla scadenza dell'eventuale contratto faranno ritorno ai loro paesi? E se invece volessero restare, chiedendo il ricongiungimento, non potrebbero diventare milioni, con tutte le conseguenze anche in termini di costi finanziari? E si potrebbero fare tante altre domande.

C'è poi chi ha visto in questa sanatoria una sorta di ius soli alternativo, constatata l'estrema difficoltà di far passare una legge del genere in Parlamento. Se così fosse, sarebbe una mossa veramente abile perché le forze rivoluzionarie anti-italiane potrebbero prendere due piccioni con una fava: regolarizzare una vasta platea di immigrati con futuro diritto di voto (che almeno in teoria dovrebbe andare a quei partiti che li hanno tanto favoriti) e salvaguardare il giro d'affari della grande distribuzione alimentare, saldamente egemonizzata dalla sinistra. E ce ne sarebbe anche una terza, più a lungo termine: cancellare l’identità italiana con la sua vocazione di servizio alla santa Chiesa.

Appare evidente che, al di là dei proclami di facciata, questa iniziativa di regolarizzazione non riuscirà a combattere il caporalato, lavoro nero, sfruttamento ecc., per il semplice motivo che questi fenomeni non nascono oggi e se sono ancora presenti in modo così massiccio, è solo perché, come in tanti altri casi, non c'è stata una seria volontà di stroncarli: in tutti questi anni dove sono stati governo, polizia, sindacati ecc.? E dove sono le continue retate, con relativi processi e condanne esemplari? Comunque non bisogna generalizzare, perché molti imprenditori agricoli sarebbero anche disposti a pagare giusti salari, se non dovessero cedere i loro prodotti alla filiera distributiva a prezzi ridicoli e quindi diventa tutto una questione di sopravvivenza. Date le mie origini contadine, io ricordo benissimo di aver sentito fin da bambino discorsi sull'ingiustizia di un sistema che acquistava il prodotto dal coltivatore a prezzi irrisori per essere poi rivenduto al dettaglio a prezzi enormemente maggiorati. Se da allora nulla è cambiato nella sostanza, può solo voler dire che forse è meglio non toccare certi interessi.

Tornando al piano Kalergi, in un paio di servizi recentemente apparsi su il Giornale (9 e 10 maggio 2020), sarebbe in atto un progetto per collocare oltre 100 migranti in uno sperduto paese abruzzese, Carapelle Calvisio, un paesino della provincia dell'Aquila di appena 84 abitanti arroccato su una delle propaggini meridionali del Gran Sasso d'Italia. Qui i migranti dovrebbero essere ospitati in una struttura messa a disposizione dalla “Caritas dell'Arcidiocesi di Pescara-Penne Onlus” per il periodo di sorveglianza sanitaria. Questa storia non ha tutta l'aria di una sorta di prova tecnica di sostituzione, anche se per ora con numeri bassi, limitata ad un piccolo borgo e su base provvisoria? Tanto si sa che in Italia nulla è più definitivo del provvisorio. Ma se poi l'intento è quello di ripopolare borghi ormai quasi disabitati o abitati solo da pochi anziani, chi ci garantisce che i nuovi venuti resteranno certamente lì senza pretendere ad un certo punto, come giù successo in tanti altri casi, di essere spostati in luoghi da loro giudicati di maggior gradimento, come ad esempio i centri delle grandi città!

Ecco quindi che una resistenza a questi progetti, che si potrebbero chiamare anche di auto-invasione, non sarebbe male. Peccato però che di questa resistenza non si sia rilevata alcuna traccia, ad esempio, nelle manifestazioni dello scorso 25 aprile per commemorare la liberazione dell'Italia dal nazifascismo.

NOI VOGLIAM DIO

Noi vogliam Dio Vergin Maria,
porgi l’orecchio - al nostro dir
noi t’invochiamo - o Madre pia
dei figli tuoi - compi il desir!

Ritornello

Deh! benedici, o Madre,
al grido della fe’
noi vogliam Dio – ch’è nostro Padre
noi vogliam Dio – ch’è nostro Re
noi vogliam Dio – ch’è nostro Padre
noi vogliam Dio – ch’è nostro Re.

Noi vogliam Dio - le inique genti
rigettan stolte - il suo regnar
ma noi un patto - stringiam fidenti
perché non si osi - più Iddio sfidar!

Rit.

Noi vogliam Dio - nelle famiglie
dei nostri cari - in mezzo al cuor
sian forti i figli - caste le figlie,
tutti ci infiammi - di Dio l’amor.

Rit.

Noi vogliam Dio - Dio nella scuola,
dove s’accoglie - la gioventù
qui ancor risuoni - la Sua parola
qui sia l’immagine- del buon Gesù!

Rit.

Noi vogliam Dio – nell’officina
perché sia santo - anche il lavor
a Lui dal campo - la fronte china
alzi fidente – l’agricoltor!

Rit.

Noi vogliam Dio – dov’è la legge
dov’è la scienza – dov’è l’amor
dov’è chi giudica – dov’è chi regge
dov’è chi nasce - dov’è chi muor.

Noi vogliam Dio - perché la Chiesa
pasca le genti - di verità
perché del vizio - vinta l’offesa
levi a trionfo - la carità.

Rit.

Noi vogliam Dio - a Lui giuriamo
serbar fedeli - la mente e il cuor,
servirLo liberi - tutti vogliamo,
sia questo il nostro - supremo onor!

Rit.

Fratelli unanimi - il patto antico
della gran Vergine - sul patrio suol
stringiam gridando - contro il nemico
Noi vogliam Dio - Iddio lo vuol!

Rit.



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