La storia insegna qualcosa?
Molti anni fa, in un colloquio avuto col prof. Augusto Del Noce, egli mi disse che il celebre motto sulla historia magistra vitae gli pareva smentito dalla storia contemporanea; essa infatti dimostra che l’umanità subisce l’esperienza passata ma non ne trae proficui insegnamenti per il futuro, per cui tende a ripetere gli stessi errori commessi.
E’ però anche vero che la divina Provvidenza suscita pensatori capaci di far tesoro degli errori passati e anche di prevedere quelli futuri. Del Noce è stato uno di questi pensatori profetici. Analizzando le ideologie e le mentalità operanti nella cultura contemporanea, egli illuminò il senso profondo del tragico XX secolo e soprattutto fece la più acuta diagnosi del comunismo, del quale previde con grande anticipo il fallimento e il suicidio, e del progressismo cristiano, del quale previde il coinvolgimento nella crisi del secolarismo.
Il suicidio del comunismo
Analizzando in contemporanea gli avvenimenti del cosiddetto Sessantotto, Del Noce capì ch’esso segnava insieme il successo e la crisi del comunismo come ideologia e come movimento. Per lui, il crollo degli Stati comunisti non dev’essere attribuito alla globalizzazione dell’economia o delle comunicazioni, come pretendono alcuni liberali, bensì alla resistenza, e poi alla rinascita, del sentimento patriottico e di quello religioso, come fu previsto da molti cristiani. Parallelamente, la crisi degli Stati liberali non va attribuita alla rivolta del neo-proletariato terzomondiale, come pretendono i socialisti e i “teologi della liberazione”, ma alla riscossa della coscienza civile e religiosa.
Del Noce capì che il crollo del sistema comunista era risultato non di un processo di conversione e di risanamento, ma del fallimento del progetto costruttivo sovietico; pertanto, ciò non sarebbe bastato per guarire il mondo dal morbo rivoluzionario. Inoltre, il comunismo si era suicidato come sistema politico ma si era riproposto come mentalità, al fine di meglio diffondersi come una metastasi cancerosa nel tessuto delle democrazie europee e occidentali. Pertanto, il vuoto risultante dalla scomparsa del comunismo rischiava di essere riempito dal sopravvivente radicalismo libertario e permissivo.
Essendo morto il 30 dicembre 1989, Del Noce fece appena in tempo a vedere l’abbattimento del Muro di Berlino, ma non il successivo crollo del sistema sovietico; vide l’avvento del radicalismo di massa, ma non i recenti segni di riscossa morale ch’egli aveva a lungo auspicato.
Del Noce previde che il fallimento del sistema sovietico avrebbe coinvolto prima il comunismo, poi anche il socialismo e l’intera Rivoluzione. Inoltre, contrariamente a quanto molti pensano, il fallimento del socialismo non favorisce il suo storico fratello-nemico, ossia quel liberalismo ormai diventato radicalismo; infatti anch’esso ormai subisce una crisi mortale, perché sta producendo l’opposto di quanto aveva promesso: non liberté ma oppressivo “politicamente corretto”, non égalité ma nuove disuguaglianze, non fraternité ma “guerra civile globale”.
Com’è noto, oggi l’Unione Europea pretende di rimediare alla crisi del comunismo tentando una terza via che realizzi “nuova sintesi” tra socialismo e radicalismo, sintesi che dovrebbe animare la nuova epoca “postmoderna”. Ma questo tentativo sta provocando non la nascita di una nuova società, bensì la dissoluzione finale della vecchia società, il crollo di tutte le certezze e sicurezze tradizionali delle quali tuttora sopravvive; insomma, dal relativismo si sta passando a un nichilismo che può realizzarsi solo nell’anarchia e nel caos.
Infatti, tutte le ideologie moderne, che avevano progettato la costruzione di una nuova società che avrebbe divinizzato l’umanità, ormai si sono “rovesciate” producendo l’opposto di quanto avevano promesso, e in tal modo avviano un mutamento epocale dalle imprevedibili conseguenze.
Il fallimento della Modernità
Il secolo appena concluso prepara non solo un fallimento, ma anche una sorta di “catastrofe”, nel senso sia etimologico (rovesciamento) che filosofico (mutamento globale) che teologico (apocalissi).
Negli anni tra il 1980 e il 1995, poco prima della loro morte, due fra i massimi esponenti della cultura e dell’apostolato cattolico mondiale, l’italiano Augusto Del Noce e il brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira, indipendentemente tra loro, previdero che il suicidio del comunismo avrebbe coinvolto l’intera Rivoluzione, il che avrebbe comportato la fine della modernità. Secondo loro, la Rivoluzione è ormai moribonda perché corrosa dal proprio nichilismo; ciò non deve stupire poiché, nella stessa essenza della Rivoluzione, «si trovano già inscritti il suo destino di sconfitta e la sua condanna alla infamia» (A. Del Noce, Cristianità e laicità, Giuffré, Milano 1998, p. 317).
L’ultimo saggio di Del Noce s’intitolò significativamente Secolarizzazione e crisi della modernità (E.S.I., Napoli 1989). Secondo lui, l’attuale crisi colpisce non solo il socialismo e il liberalismo ma anche la loro radice ideologica, ossia la modernità, intesa in senso non cronologico ma assiologico, ossia come tentativo di divinizzare l’uomo con le sue sole forze naturali al fine di realizzare l’Assoluto nella Storia e il Paradiso sulla Terra: è quella che il Magistero pontificio ha chiamato Rivoluzione. Fin dall’inizio degli anni ‘70, Del Noce previde, dopo il crollo del mondo sovietico, anche Il suicidio della rivoluzione, come testimonia questo titolo di un suo celebre libro (Rusconi, Milano 1978).
Del Noce dimostrò il grave errore commesso dai cristiani progressisti lungo il XX secolo. Convinti della irreversibilità del processo di secolarizzazione e di socializzazione, dominati da un complesso d’inferiorità verso la “cultura moderna”, essi ne hanno recepito acriticamente il pensiero e vi si sono subordinati vilmente nell’azione; vedendone oggi la crisi mortale, essi tentano invano di rianimarla nella post-modernità fornendole un mero “supplemento d’anima” e rischiando quindi di esserne coinvolti nel suo fallimento.
Per contro, se vogliamo uscire dalla crisi attuale, s’impone non una fase post-moderna ma una rinascita culturale e spirituale antimoderna che parta dalla confutazione degli errori della modernità e degli orrori della secolarizzazione. Il primo dovere della cultura cristiana sta nel «prendere coscienza del valore e della conferma che trova oggi quella critica della modernità che ha ispirato la filosofia della storia cattolica dell'Ottocento, e che invece, in questo dopoguerra, molta parte della cultura cattolica, nuovi teologi in testa, ha ripudiato» (A. Del Noce, Cristianità e laicità, p. 146).
Pertanto, il fallimento del socialismo, il tramonto dell’europeismo radicale e la crisi della intera Rivoluzione devono essere visti non come una sciagura ma anzi come una provvidenziale possibilità di riscossa e di riscatto che può demolire gl’idoli moderni e aprire la strada a un rinnovamento spirituale che favorirà l’avvento di una nuova epoca cristiana.
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