Già ai suoi tempi san Francesco si meravigliava del fatto che “tutti lo seguivano”; lungo i secoli successivi, il suo esempio è stato ripensato e imitato nelle più diverse situazioni. Ma quando egli viene “interpretato” in tutti i modi, compresi quelli più lontani dalla realtà storica, e quando viene applaudito e rivendicato da tutte le parti, comprese quelle più lontane dal Cristianesimo, allora c’è qualcosa che non quadra; viene il sospetto che san Francesco sia stato ridotto a un contenitore vuoto riempibile con qualsiasi contenuto, oppure a una figura che ha acquistato tanta estensione da restare priva di profondità.
E’ proprio questo ciò che è accaduto lungo l’intero XX secolo. Oggi, ad oltre un secolo dal rilancio della “questione francescana”, questa ha ormai liquidato il proprio argomento, perché ha finito col relativizzare l’identità stessa di san Francesco. Egli è stato ridotto a un enigmatico personaggio che non poté o non volle farsi capire né valere, mentre il suo exemplum vitae è stato ridotto ad un modello interpretabile a piacimento e adeguabile a tutti gli usi e consumi, anche politici.
In concreto, molti biografi o apologeti del Serafico l’hanno trasformato in un precursore delle ultime mode culturali e istanze sociali. E così quella falsa immagine progressista, che all’inizio del XX secolo era diffusa solo fra protestanti e modernisti, è oggi diventata il ritratto ufficioso – se non proprio ufficiale – del santo, quale viene propagato dalla maggioranza dei predicatori, storici e teologi cattolici. In questo, l’Ordine francescano del nostro tempo ha una precisa responsabilità. Invece di difendere l’esempio e l’eredità del proprio Fondatore correggendone le falsificazioni e strumentalizzazioni, esso si è masochisticamente sottomesso alle imposizioni della pseudo-cultura dominante, sì è implicitamente accusato di aver travisato per oltre sei secoli la figura e la missione del proprio Fondatore e di averla scoperta solo recentemente sotto l’influenza della storiografia e della teologia protestanti o laiciste.
Per decenni, san Francesco è stato dipinto come “moderno”, ossia come precursore dell’umanesimo, del protestantesimo, del naturalismo, del romanticismo, del socialismo, della “teologia della liberazione”. Oggi egli viene presentato come “postmoderno”, ossia come precursore del pacifismo, dell’ecumenismo, dell’ecologismo, del terzomondismo e perfino dell’anarchismo. In ogni caso, si falsifica l’esempio e il messaggio francescani, si perde la sua caratteristica medioevalità e, con essa, anche quel suo carattere antimoderno che, paradossalmente, lo rende così attuale ai nostri tempi e per le nuove generazioni.
In questo modo, si finisce col dare una parvenza di credibilità all’analoga falsificazione del santo ampiamente diffusa dai mezzi di comunicazione di massa (riviste, romanzi, fumetti, musical, commedie, film e telefilm), i quali propinano alle folle un Francesco melenso e sentimentale, idiota e smidollato, scettico in campo dogmatico e permissivo in campo morale, insomma “aperto al mondo” ed “amico di tutti”. Di conseguenza, ormai anche la maggioranza dei cattolici immagina che san Francesco fu precursore del naturalismo oggi in voga, apostolo di una “carità” tutta umana e terrena che, prescindendo dalla verità, è finalizzata non alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime bensì alla gloria dell’Uomo o alla salvezza della Natura.
San Francesco ci viene presentato come un personaggio libertario, ribelle, anarchico, dallo stile di vita pauperista e tribale, precursore di quell’irrazionale rifiuto della (vera) civiltà che si è recentemente espresso in fenomeni di patologia sociale sessantottina e post-sessantottina come “figli dei fiori”, hippy, freak, punk, “indiani metropolitani” e no-global.
In realtà, le fonti storiche ci rivelano concordemente che i primi frati minori, se avevano rinunciato ai beni terreni, non avevano però ripudiato quelli spirituali e quindi non contestavano affatto i valori morali e sociali né le conquiste della Civiltà cristiana. Anzi, mantenendo un comportamento composto, dignitoso e cortese, essi rifuggivano da ogni forma non solo di volgarità ma anche di sciatteria o sguaiataggine. Lo stesso san Francesco, anche prima della sua conversione, «era di una tale delicatezza che non poteva tollerare i discorsi equivoci e le volgarità»(1); anzi aveva maniere nobili e signorili, tanto che spesso veniva scambiato per un aristocratico, come accadde quando i vincitori perugini lo incarcerarono assieme ai vinti nobili assisiati. E’ stato notato che, della sua vita passata, egli salvò un solo lusso: la courtoisie, ossia le maniere di corte e cavalleresche, sulle quali elevò la propria spiritualità.
Alcuni pretendono che Francesco abbia preannunciato una “emancipazione” del corpo umano, sottraendolo alla tradizionale condizione di strumento dell’anima ed elevandolo alla dignità di bene autonomo; il santo sarebbe quindi un precursore dell’attuale permissivismo sessuale ed erotizzazione della vita, o perlomeno di una certa “teologia del corpo” oggi in voga.
Per confutare questa offensiva sciocchezza, basti qui ricordare che il santo esortava i suoi fedeli a «odiare il nostro corpo con i suoi vizi e peccati»(2) e a «mantenere i nostri corpi nell’umiliazione e nel disprezzo»(3), ammonendoli con queste parole: «Ognuno deve tenere in potere il proprio nemico, ossia quel corpo mediante il quale pecca. Beato quindi colui che terrà sempre schiavo quel nemico, sottomettendolo e diffidandone saggiamente; se infatti farà così, nessun altro nemico visibile o invisibile potrà nuocergli»(4). Nella vita francescana, il corpo viene nobilitato e spiritualizzato non emancipandolo dalla “regale signoria” dell’anima ma, all’opposto, subordinandolo e sottomettendolo rigorosamente alle norme morali e alle esigenze spirituali, anche ricorrendo alle dovute correzioni e punizioni penitenziali ed espiatorie. La libertà francescana nasce dall’aver messo ordine nella propria anima e nella propria vita usando un’ascesi aspra e rigorosa, una lotta contro gl’istinti che ci seducono, disorientano e schiavizzano, una disciplina interiore ed esteriore capace di dominare idee, tendenze e passioni disordinate.
Chi poi dipinge il Serafico come un tipo giulivo, sciocco e facilone, dimentica che la letizia francescana non ha nulla a che fare con l’attuale irresponsabile leggerezza, come si può capire da questo avvertimento del santo: «Beato quel religioso che ha gaudio e letizia solo nelle santissime parole ed opere del Signore e, mediante queste, conduce gli uomini all’amore di Dio con gaudio e letizia. Guai invece a quel religioso che si diletta di parole oziose e vane e conduce gli uomini al riso»(5). Francesco conquistò la “santa letizia” proprio percorrendo la via evangelica della lotta, del sacrificio e del dolore, ossia la via regale della Croce. Come ammonisce Giovanni Paolo II, «egli giunse alla gioia attraverso la sofferenza, alla libertà attraverso l’obbedienza e il totale rinnegamento di se stesso, all’amore odiando se stesso, cioè, secondo il linguaggio evangelico, vincendo l’egoismo»(6).
Esiste un ultimo pregiudizio, secondo il quale Francesco sarebbe stato un tipo che avrebbe voluto raccogliere nella sua fraternitas solo uomini sempliciotti e ignoranti, se non proprio sciocchi e idioti, tentando di allontanarne i sapienti e i maestri, di proibirvi ogni formazione culturale e di scoraggiarvi ogni sorta di pensiero logico e coerente. Anche questa è una falsità grossolana smentita da numerosi e inequivocabili documenti storici. Del resto, se fosse stato diversamente, non si potrebbe spiegare come il santo avrebbe potuto affidare ai suoi frati il difficile ruolo della predicazione e della direzione spirituale, allo scopo di lodare e difendere la povertà evangelica con argomenti profondi e convincenti. La “semplicità” francescana non è espressione di animo sciocco e idiota, o imprudente e irresponsabile, ma anzi caratterizza chi ha una profonda comprensione spirituale che riconduce tutto all’Unum necessarium, concentrando tutto in Dio, rendendosi indifferente e perfino inabile alle cose mondane.
Possiamo ora, per contrasto con quanto descritto, ricuperare il vero spirito francescano. Esso non è disprezzo delle cose umane, isolamento dal mondo, rifiuto della vita, inciviltà miserabilista e tribale. Esso rinuncia ai beni terreni, ma solo per fare in modo ch’essi vengano rigorosamente subordinati ai beni celesti; non gode delle bellezze terrene, ma solo per contemplarvi meglio la bellezza spirituale; mortifica i propri bisogni, sia materiali che spirituali, ma solo per esaudire quelli soprannaturali; contrasta le proprie aspirazioni umane (anche se lecite), ma solo per santificarle subordinandole al disegno divino.
Tutta la storia della Chiesa testimonia questo significativo paradosso: ogni epoca viene convertita non dal personaggio che la riflette e la lusinga di più, ma dal santo che le si oppone con maggiore radicalità. Giustamente Chesterton disse che l’attualità del Serafico consiste proprio nel fatto che il suo esempio costituisce «una sfida al mondo moderno». Tutto ciò viene confermato da un fatto apparente paradossale: il francescanesimo, ossia il movimento religioso che più di tutti predicò e realizzò il distacco dal mondo e la lotta allo “spirito del tempo”, fu proprio quello che più di tutti influì nella vita reale e plasmò la società e lo spirito di un’epoca. Uno dei grandi risultati del messaggio del Poverello fu infatti quello di dare un particolare impulso alla crescita e maturazione non solo della spiritualità e della cultura, ma anche della personalità e della civiltà dei popoli.
Ben lontano dal preludere al moderno antropocentrismo, il francescanesimo realizzò invece un più rigoroso teocentrismo ed anzi cristocentrismo, subordinando uomini e cose al servizio del Creatore e Redentore. Lo fece in obbedienza al Serafico stesso, che così espresse il suo pensiero: «Il servo di Dio non è che una specie di ritratto, cioè una creatura nella quale il Creatore va onorato a motivo dei doni che le elargisce; ma tale creatura non deve attribuire nulla a sé stessa, come non lo fa il legno o la tela [del ritratto]; piuttosto ella deve rendere l’onore e la gloria al solo Dio, e conservare per sé l’umiltà e le tribolazioni»(7).
E’ proprio questo cristocentrismo che ha permesso al movimento francescano di dare alla storia della civiltà quel profondo, vasto e duraturo contributo ammirato da tutti gli studiosi. L’esempio di san Francesco – capillarmente diffuso mediante parole, scritti, immagini, musiche e rappresentazioni teatrali – non solo rilanciò l’arte della predicazione e dell’oratoria, ma favorì quella multiforme rinascita artistica del XIII e XIV secolo che produsse innumerevoli opere di valore, specie in campo figurativo. La prima letteratura francescana, scritta e cantata in volgare per esplicito comando del Serafico, contribuì a far nascere la lingua italiana ed altre lingue nazionali nelle loro prime forme poetiche. Le cronache della vita di san Francesco, dei suoi compagni e delle loro prime missioni, favorì la nascita della moderna storiografia. Il pensiero di san Francesco, elaborato filosoficamente, produsse una vasta corrente dottrinale che favorì la nascita di quelle scienze che poi si lanciarono alla scoperta ed alla conquista della natura fisica.
La carità francescana, applicata nella vita civile, favorì non solo l’assistenza morale e materiale ai più bisognosi, ma anche quel movimento di rinascita sociale che elevò i ceti più umili alla piena coscienza della loro dignità e importanza, permettendo in tal modo un migliore ordinamento politico. Anzi la spiritualità francescana, assieme a quella domenicana, fu all’origine di quel rinnovamento nella dottrina sociale della Chiesa che condusse alla moderna etica politica, economica e professionale, avviata dalla Seconda Scolastica durante l’epoca controriformistica; per un apparente paradosso, infatti, proprio quei frati che avevano fatto professione di assoluta povertà divennero studiosi della ricchezza ed elaborarono i primi codici etici professionali, rivolti soprattutto a mercanti e banchieri. Perfino l’odierna giurisprudenza è nata quasi all’ombra dell’Ordine minorita, visto che fra i suoi fondatori troviamo terziari francescani come Cino da Pistoia, Bartolo da Sassoferrato e Baldo degli Ubaldi. Non meraviglia quindi che il genio di san Francesco sia stato celebrato non solo da teologi ma anche da storici, filosofi, scienziati, politici, economisti e soprattutto artisti.
Insomma, lungo i secoli, i francescani sono diventati non solo missionari della vera fede, ma anche animatori di spiritualità e di civiltà, avviando quello scambio d’idee e di rapporti con tutto il mondo che ha favorito la reciproca conoscenza fra mentalità diverse e lontane. Questa opera ha sfidato, e in parte vinto, i pregiudizi culturali, etnici, castali e nazionali, insomma tutte le convenzioni storico-sociali che impedivano una piena simpatia e collaborazione fra i popoli. E’ proprio ai francescani che dobbiamo i primi contatti diplomatici, scambi e conoscenze, perfino linguistiche, che l’Europa ebbe con molti popoli ignoti e lontani, fin da quando alcuni frati accompagnarono i veneziani fratelli Polo nel loro celebre viaggio in Oriente. La grande impresa delle scoperte geografiche – preannunciata dal frate minore Ruggero Bacone e poi iniziata dal terziario francescano Cristoforo Colombo – è stata quindi ampliata e approfondita dall’Ordine lungo i secoli.
Possiamo forse dire che, dopo san Paolo, nessun uomo ebbe sullo spirito umano una influenza paragonabile a quella esercitata da san Francesco d’Assisi. Questa influenza non fu dovuta a particolari qualità umane né ad una speciale posizione sociale, tantomeno al fatto di aver incarnato lo “spirito del suo tempo”, come ripetono i corifei dello storicismo quando non sanno (o non vogliono) spiegarsi un fenomeno storico. Ma allora, come mai la sua figura esercitò ed esercita tuttora un fascino così speciale? La risposta ce la dà Pio XI: l’attrattiva e l’influenza del Serafico derivano dal fatto che, nella sua persona, «la grazia elevò la natura al culmine della perfezione»(8).
Questo fattore schiettamente soprannaturale costituisce essenzialmente ciò che viene chiamato lo “spirito francescano”. Esso consiste in una tale elevazione dell’uomo a Dio, da realizzare una sorta di armonica unione degli opposti (et-et) tra Cielo e Terra, tra soprannaturale e naturale, tra divino e umano. Non si tratta di una “riconciliazione” ugualitaria fra pari, come oggi si pretende, bensì di una unione gerarchica prodotta dalla generosa iniziativa del superiore sull’inferiore e dall’umile collaborazione di questo a quello; la natura divina, quale padrona, assume al proprio servizio la natura umana quale serva, quasi rinnovando l’esempio più elevato, paradigmatico e sorprendente di quest’assunzione: l’Incarnazione del Verbo increato realizzatasi nella creata Persona di Gesù Cristo. Ecco in che senso san Francesco è tipico alter Christus. Imitando il Signore, infatti, il Serafico fece sì che il soprannaturale diventasse sensibile e lo straordinario diventasse ordinario; armonizzò le esigenze della verità e del dovere con quelle della libertà e della felicità.
San Francesco realizzò la fusione tra la vita contemplativa e quella attiva, tra l’abitare nel mondo e il non appartenervi, tra l’ideale religioso e quello civile, tra l’apostolato della parola e quello dell’esempio, tra la “spiritualità della rinuncia e dell’esodo” e la “spiritualità della incarnazione e della conquista”. Egli realizzò la santificazione dell’azione, che è la grande esigenza del nostro tempo e la gran soluzione dei nostri problemi, in quanto è l’unica capace di convertire quella vita moderna che è ossessionata dall’agire e dominata dalla “eresia dell’azione”.
Insomma, il Serafico riuscì a infondere nella vita il bene supremo della fede e a mettere i beni della vita a servizio della fede. Il movimento francescano dimostrò che chiunque, anche se resta nel mondo, può aspirare alla perfezione evangelica, può essere in un certo modo un “religioso”: basta che ne viva lo spirito, trasformando il proprio cuore in una cella, la propria casa in un eremo, il proprio lavoro in esercizio penitenziale, il proprio studio in meditazione, il proprio dovere di stato in pratica ascetica. In particolare, il terz’Ordine indicò un facile metodo di perfezione cristiana nella ordinaria vita quotidiana. Come nota Papa Benedetto XV, «Francesco per primo concepì e felicemente realizzò, col divino aiuto, ciò che nessun fondatore di ordini regolari aveva prima escogitato: ossia rendere accessibile a tutti il livello di vita religiosa»(9).
Inoltre, la spiritualità francescana ha armonizzato i due atteggiamenti fondamentali della religiosità: lo spirito di amore e quello di lotta, che corrispondono alle due tendenze naturali dominanti nell’uomo: l’appetito concupiscibile e quello irascibile, ossia conquista e difesa, slancio e disciplina, cuore e nervi, “fuoco e ferro”. Francesco ha riunito in sé lo spirito dell’innamorato e quello del soldato, e li ha sublimati insieme esprimendoli con lo spirito del poeta. Storicamente parlando, il francescanesimo ha ereditato e purificato i valori del mondo feudale, cavalleresco e cortese, che in quell’epoca si stava già avviando verso un lento tramonto, e li ha armonizzati con i valori del mondo cittadino e borghese, che allora aveva appena iniziato una lenta ascesa; il francescano ha unito in sé la inquieta fierezza cavalleresca alla quieta operosità borghese. L’elasticità e l’anticonformismo con cui ha realizzato questa unione, adattandosi alle esigenze dei tempi, è stata una delle ragioni del suo successo lungo i secoli e del fascino che tuttora esercita.
Va notato che, pur essendo un Ordine predicatore, il francescanesimo ha usato ampiamente non solo il linguaggio della parola ma anche quello della figura, del gesto e soprattutto del simbolo. Il francescano contempla ed ammira la realtà come opera creata dal “divino Artista” e quindi desidera imitare la divina capacità creatrice partecipandovi in qualità di “sub-creatore”, soprattutto plasmando la propria vita come un’opera d’arte Il francescanesimo ha manifestato la propria capacità artistica esprimendo il messaggio religioso con un linguaggio simbolico che permette a ciò che è povero, semplice ed umile, insomma popolare e quotidiano, di manifestare le più eccelse e sublimi verità di fede: lo dimostra il significato e valore simbolici conferiti a segni e cose come la Croce, il Tau, le Stimmate, il Presepio, le due braccia incrociate, il saio, il cordone…
Secondo alcuni studiosi, nel XIII secolo «Dio ebbe pietà della nostra fiacchezza e perfino della nostra ostinazione, e pensò di mandare sulla terra un altro mediatore, uno che fosse mediatore tra gli uomini e Cristo, come Cristo era stato Mediatore tra gli uomini e Dio. Questo nuovo mediatore doveva essere, a dissomiglianza di Cristo, (…) soltanto un uomo, ma con la missione di ripetere, per quanto è possibile alla mera umanità, l’esempio di Cristo e, attraverso l’imitazione di Cristo, ricongiungerla a Dio»(10). Insomma, si può quasi dire che, in quell’epoca, Gesù Cristo offerse una seconda volta al mondo il suo Vangelo incarnato nel vivente esempio di san Francesco; «tutti avrebbero dovuto seguirlo, ma ciò non è avvenuto»(11).
Infatti la storia ci dimostra che pur senza essere stato tradito come pretendono i progressisti, il messaggio francescano non fu adeguatamente compreso né seguìto dalla Cristianità e dalla stessa Chiesa dell’epoca. Anzi esso venne alquanto compromesso dal lungo e penoso contrasto sorto tra la fazione eccessivamente permissiva e quella eccessivamente rigorista, contrasto che costrinse il Papato a intervenire imponendo misure drastiche ma non sempre equilibrate; tale dissidio provocò una separazione tra forze ecclesiali che provocò conseguenze devastanti e durature.
Non possiamo quindi fare a meno di pensare con tristezza che la storia della Chiesa e della civiltà cristiana sarebbe stata ben migliore, se l’occasione storica di rinnovamento cristiano, offerta dalla Provvidenza nella persona e nell’esempio di san Francesco, fosse stata accolta prontamente e sfruttata coerentemente fino in fondo, invece di essere contrastata da buona parte del clero, da molti vescovi, perfino da certi gruppi francescani.
Questo problema fu già posto “in tempo reale” da un autorevole protagonista dell’epoca che tentò di risanare le divisioni che già laceravano il neonato francescanesimo. Nelle sue Collationes in Hexäemeron, san Bonaventura da Bagnoregio abbozzò un’affascinante e audace tesi che mira a superare la divisione tra lassismo e rigorismo francescani ponendosi in una prospettiva escatologica. Volendo spiegarsi come mai l’esempio di san Francesco fosse poco compreso e seguìto nella Chiesa e nel suo stesso Ordine, san Bonaventura sostenne che il Serafico Padre era una figura profetica polivalente e in un certo senso prematura: egli non aveva solo la missione di avviare quel parziale e momentaneo rinnovamento spirituale che andava realizzandosi nell’Ordine da lui fondato, ma aveva anche la missione di preannunciare quel totale e decisivo rinnovamento che avverrà verso la fine della storia e che verrà realizzato da un Ordine superiore protagonista dell’ultimo trionfo della Chiesa.
Difatti, secondo san Bonaventura, se i Frati Minori appartengono al secondo livello degli Ordini contemplativi, ossia a «quello che tende alle cose divine per modo speculativo» dedicandosi alla contemplazione e all’unzione, san Francesco ha però preannunciato il terzo livello, ossia «l’Ordine serafico, (…) quello di coloro che si dedicano a Dio secondo il modo sursumattivo cioè estatico. (…) In esso si realizzerà il compimento della Chiesa. (…) Quest’Ordine non fiorirà prima che Cristo appaia e patisca nel proprio Corpo mistico»(12). Quest’affascinante tesi mantiene tuttora grande plausibilità e attualità. Mai come oggi, infatti, si sente il bisogno urgente di un rinnovamento spirituale che renda possibile una vera riforma della Chiesa e una piena restaurazione della Cristianità. Questo rinnovamento è stato auspicato da alcuni Papi e profetizzato da molti santi venuti dopo Francesco di Assisi: pensiamo ad esempio a Caterina da Siena, Vicente Ferrer, Francesco di Paola, Margherita Maria Alacoque, Luigi Grignion di Montfort, Giovanni Bosco, Massimiliano Kolbe, Luigi Orione, per non parlare del ben più autorevole annuncio fatto dalla Madonna stessa a Fatima.
Ma non facciamoci illusioni. Ormai la “modernità” ha portato a compimento l’apostasia delle nazioni dalla Chiesa; pertanto, questo sospirato rinnovamento non potrà realizzarsi senza quella piena conversio ad Deum che implica necessariamente un’ aversio a Revolutione che richiede lotta, penitenza e sofferenza e che quindi, per usare la citata frase bonaventuriana, avverrà «non prima che Cristo appaia e patisca nel proprio Corpo mistico», ossia non prima che si scateni una grande persecuzione dei cristiani, un “venerdì santo della Chiesa” che prepari una “domenica pasquale della Chiesa”, una sua resurrezione storica.
L’attuale crisi religiosa, culturale e politica verrà certamente superata da una nuova vittoria della Chiesa e da una rinascita della Cristianità; ma ciò avverrà solo rinnegando gli errori e riparando le colpe commesse, dunque facendo abiura, penitenza e riparazione del passato, insomma «bruciando quello che adorasti e adorando quello che bruciasti», come ammonì san Remigio al Re pagano Clodoveo. Voglia Dio che siamo tutti pronti per partecipare a questa santa impresa, dolorosa ma risanatrice e vittoriosa, che verrà ispirata dallo Spirito Santo e che verrà addolcita dalla materna assistenza di Maria Santissima, ossia di Colei che, secondo la tradizione, durante i due angosciosi giorni che precedettero la Resurrezione, fu la sola a mantener viva la Fede preparandone la rinascita nei suoi primi figli.
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4 ottobre 2020: Festa di San Francesco d’Assisi
Nella foto: copertina della prima edizione del libro di Guido Vignelli, uscita nel 2009 nel quadro della Collana Lepanto, diretta da Fabio Bernabei, per i tipi di Fede & Cultura.
1) E. Longpré, Francesco d’Assisi e la sua esperienza spirituale, p. 13.
2) S. Francesco d’Assisi, Regola prima, § 22.
3) S. Francesco d’Assisi, Lettera seconda ai fedeli, § 9.
4) S. Francesco d’Assisi, Ammonizioni, § 10.
5) S. Francesco d’Assisi, Ammonizioni, § 20.
6) Giovanni Paolo II, Lettera per il VIII centenario della nascita di san Francesco (15 agosto 1982)
7) Legenda perusina, § 104.
8) Pio XI, Rite expiatis, § 6.
9) Benedetto XV, Sacra propediem, § 2.
10) G. Papini, San Francesco (1921), in Id., Gli operai della vigna, Vallecchi, Firenze 1929, p. 82.
11) J. Green, Journal 1943-1945, Plon, Paris 1949, p. 61
12) S. Bonaventura da Bagnoregio, Collationes in Hexäemeron, cap. XXII, §§21-23.
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