Osserviamo attentamente il Presepio. Simile allo scenario di una sacra rappresentazione, esso ci appare animato da cose e persone, tutte dotate di un preciso significato non solo storico ma anche simbolico e mistico, e ci permette di meditare su quelle verità e virtù salvifiche oggi negate e combattute dalla cultura e dal potere dominanti.
I personaggi principali del Presepio – il Divino Infante, la Madonna e san Giuseppe – ci sono familiari, se non altro per merito del catechismo appeso da piccoli. Ma nella Natività tutto assume un valore sacro, degno di essere contemplato e meditato per il ristoro della nostra anima, come ci viene illustrato dalla tradizione cattolica fin dai tempi dei Padri della Chiesa. Cercando di rivivere questa santa e mirabile notte che manifestò il "matrimonio tra la divinità e l'umanità, avviciniamoci quindi al Presepio e consideriamone le persone e le cose che vi stanno.
La notte e la stella
Cominciamo dai rappresentanti del mondo inanimato. Per mezzo di loro, la natura fisica diventa personaggio dello scenario e fa da sfondo alla sacra rappresentazione del Presepio.
Innanzitutto, la Natività avviene al culmine della notte, perché raffigura le tenebre dell'idolatria e del peccato, che avvolgevano l'intero mondo al momento dell'Incarnazione: «La gloria del Signore sorgerà proprio quando le tenebre avranno avvolto la Terra e l'oscurità avrà oppresso i popoli», aveva profetizzato Isaia (Is 60,1). Infatti è proprio nel momento più buio della notte, nell'ora più tenebrosa della storia, che inaspettatamente nacque quel Sole di giustizia destinato a vincere l'errore e il peccato illuminando e riscaldando i popoli con luce e calore crescenti. Inoltre la notte rappresenta l'origine primordiale e misteriosa del creato, il "vuoto" che viene "riempito" dalla potenza di Dio nell'atto della creazione del mondo e del primo Adamo. Nel cuore della santa notte di Betlemme, l'Eterno Padre ha operato una nuova creazione, dando alla luce nuovo Adamo, Gesù, restaurando quella prima creazione che era decaduta.
Il buio notturno è però rischiarato dallo splendore di una stella prodigiosa: è la "stella del mattino" che, al culmine della notte, preannuncia l'arrivo dell'alba rigeneratrice: «una stella spunterà da Giacobbe» (Num 24,17). A consolazione dei fedeli che l'avevano tanto atteso e a conversione dei traviati che brancolano nel buio come ciechi, quest'astro guiderà gli uomini fuori dalle tenebre del peccato per condurli ai piedi di quel Redentore che ha è «la fulgida stella del mattino» (Ap 22,16), e che veramente è stato e sarà sempre «luce rivelata per illuminare le nazioni» (Lc 10,32).
La grotta e la greppia
Un terzo elemento inanimato del Presepio è la grotta. Già da secoli la grotta era il luogo di penitenza e di purificazione in cui i profeti si ritiravano per prepararsi alla loro missione, era il centro da cui partivano le grandi imprese di riforma religiosa. La grotta è una sorta di tomba in cui l' "uomo vecchio" deve seppellirsi e morire per poter rinascere come "uomo nuovo", rigenerato in spirito e verità. Ma la grotta di Betlemme appare vasta come il mondo, perché essa ospita i rappresentanti di ogni natura creata – da quella inanimata fino all'uomo e agli Angeli – che rendono omaggio al loro Creatore venuto a visitarli. Immagine dell'austerità e della povertà, segno di quel distacco dal mondo che deve caratterizzare i veri apostoli, la grotta del Natale accoglie umilmente Colui che, prima ancora di nascere, è stato già respinto dai palazzi del suo stesso popolo. Betlehem significa in ebraico "casa del pane", poiché proprio questo luogo era predestinato a donare agli uomini Gesù, il Pane vivo disceso dal Cielo. La grotta di Betlemme è quindi, per così dire, il forno in cui è stato cotto questo divino Pane di salvezza che oggi riceviamo nella Santa Eucaristia; pertanto, la grotta è anche immagine del sacro grembo di Maria, che ha germinato questo Pane, e della Chiesa, che lo ha accolto al posto della Sinagoga.
Al centro della grotta vediamo la rustica greppia, quasi un piatto in cui questo Pane celeste viene deposto e presentato agli uomini per essere in futuro mangiato da loro. Non a caso il Redentore ha voluto essere deposto in una mangiatoia: essa rappresenta l'altare su cui si compirà il nuovo e definitivo Sacrificio di espiazione, quello della Croce, e sul quale questo Sacrificio si rinnoverà incruentemente fino alla fine dei tempi. La mangiatoia ci ricorda insomma che ogni cristiano deve consacrarsi fin dalla nascita come ostia sacrificale per la gloria di Dio e la salvezza del genere umano.
Il bue e l'asino
Entriamo ora dentro la grotta e osserviamo i personaggi del mondo animale che vi sono presenti. Accanto al Bambino Gesù, in atteggiamento riverente e servizievole, vediamo due bestie a suo tempo preannunciate da Isaia: «Il bue riconoscerà il suo Padrone e l'asino abiterà nella greppia di lui» (Is 1,3).
Innanzitutto c'è un bue, immagine di forza, pazienza e bontà; esso raffigura la potenza dell'obbedienza che si realizza nel lavoro e nel sacrificio; è simbolo del popolo eletto rimasto docilmente sottomesso al giogo dell'antica Legge. Il bue prefigura quegli apostoli che tracceranno faticosamente i solchi nella prospettiva ch'essi vengano resi fecondi dalle piogge celesti, preparando i futuri trionfi della Fede. Poi c'è un 'asino, immagine di sapienza, l'animale che servirà da cavalcatura regale a Gesù nel suo ingresso trionfale in Gerusalemme, come aveva profetizzato Zaccaria (Zc 9,9). Quest'asino prefigura il popolo pagano che si convertirà alla vera Sapienza e, liberato dal giogo della vecchia Legge, seguirà liberamente quella nuova riconoscendo Gesù come Messia. Se il bue rappresenta la potestà sacerdotale di Cristo, l'asino raffigura quella regale.
I pastori
Davanti alla grotta vediamo sostare con devozione e rispetto i pastori chiamati dall'Angelo ai piedi del Neonato (Lc 2,9). Personaggio viandante e nomade che vive in continuo pellegrinaggio, senza mettere radici nei luoghi che attraversa, il pastore appare distaccato dalle cose terrene e ne usa solo per compiere austeramente la propria missione. Per questo i pastori di Betlemme sono immagine della Chiesa pellegrina che, guidata dalla stella della Redenzione, si dirige verso il suo destino ultraterreno.
Siccome poi lungo la notte devono sempre vegliare sul loro gregge per guidarlo all'ovile e sogliono osservare il cielo stellato cercando di coglierne i segni, essi rappresentano anche i veri Pastori della Chiesa, che si sacrificano costantemente per il popolo cristiano vigilando sulla sua sorte e guidandolo nel suo cammino verso il Cielo; osservando il firmamento con spirito contemplativo, essi cercano di capire i "segni dei tempi", ossia le indicazioni della Divina Provvidenza. Questi umili pastori di Betlemme hanno meritato di trovare Colui che la Sinagoga nemmeno si curava di cercare, hanno avuto il privilegio di essere chiamati – addirittura dagli Angeli – ad assistere per primi al mistero dell'Incarnazione e di diventare i primi annunciatori del Vangelo (Lc 2,20).
I Re Magi
A un certo momento, la piccola folla dei pastori si fa da parte per lasciar passare tre illustri pellegrini che vogliono entrare nella grotta: sono i Re Magi venuti dal lontano Oriente. Essi sono le primizie della gentilità, i patriarchi dell'umanità convertita. Nelle loro auguste persone, l'antica sapienza e il potere politico rendono concorde omaggio all'Atteso dalle nazioni, ponendosi al servizio del «Re dei re e Sovrano dei sovrani» (Ap 19,16).
Infatti, da una parte, in quanto Magi, essi sono simbolo della umana ragione in ricerca di Dio la quale, una volta ricevuta la Fede, si prostra davanti alla Verità rivelata offrendole il suo servigio, tributo e sacrificio. Dall'altra parte, in quanto Re, essi sono precursori dei numerosi sovrani cattolici che, convertendosi al Vangelo, convertiranno i loro popoli alla sola vera Fede estendendo il dominio di Cristo su tutta la terra: «I più lontani Re Gli offriranno il tributo, i sovrani Gli recheranno doni; tutti i Re gli staranno prostrati davanti, tutte le nazioni Gli obbediranno» (Ps 72, 10-11); «Le nazioni cammineranno alla Tua luce e i Re marceranno allo splendore della Tua gloria» (Is 60,3). Tanto generosi quanto saggi e potenti, i Magi recano al Divino Infante tre ricchi doni, ciascuno dei quali ha un preciso valore simbolico.
L'oro, col suo splendore, rarità e incorruttibilità, essendo valore che misura tutto e da nulla viene misurato, rappresenta la sacra autorità del Re. Esso quindi rende omaggio alla Regalità di Cristo e ne riconosce l'autorità sovrana su tutti i popoli, esprimendo la virtù della Carità. Come affermerà poi Papa san Gregorio Magno, questo dono ha confutato in anticipo quegli eretici che, pur offrendo al Redentore l'incenso dell'adorazione, Gli negano però l'oro del potere regale, il diritto di regnare sui popoli e gli Stati.
Ma in che qualità e modo il Cristo regna sull'universo? Ce lo manifestano gli altri due doni.
L'incenso, aroma tradizionalmente offerto alle divinità, rappresenta l'adorazione tributata all'Emanuele, al "Dio con noi", al Verbo incarnato. Esso quindi rende omaggio alla nascosta divinità di Gesù e Gli consacra l'intera vita nel culto, esprimendo la virtù della Fede. Non a caso l'incenso, col suo odore aspro ma inebriante che raffigura l'estasi mistica, deve circondare l'altare omaggiando la Presenza soprannaturale della Divinità: "la mia preghiera possa levarsi, come incenso, al Tuo cospetto". Il dono dell'incenso inoltre ha confutato in anticipo quegli eretici che, pur riconoscendo e omaggiando l'eccelsa umanità del Redentore, Gli negano però la qualifica divina, riducendolo ad un mero filantropo. Gesù regna quindi innanzitutto in quanto vero Dio.
La mirra, erba amara che veniva usata per seppellire i morti preservandoli dalla corruzione, rende omaggio all'umanità del Redentore, destinata ad essere consumata e distrutta senza risparmiarsi ma senza corrompersi nel sacrificio della Croce. Quest'erba suggerisce che l'uomo deve destinarsi ad un sacrificio penitenziale per espiare le proprie colpe e deve obbedire senza riserve e con fiducia ai decreti della Divina Provvidenza, esprimendo la virtù della Speranza. Il dono della mirra ha confutato in anticipo quegli eretici che negano la reale umanità del Cristo oppure negano il valore meritorio delle opere umane, specie del supremo sacrificio, proclamandosi "nemici della Croce" e pretendendo di salvarsi senza espiare. Gesù regna quindi anche in quanto vero Uomo.
Conclusione
Psicologicamente succubi del potere dominante, alcuni cristiani oggi osano affermare che bisogna rassegnarsi al fatto che l'evoluzione del mondo costringerà la Santa Chiesa a ridursi a un "piccolo gregge" diventato irrilevante e ininfluente, rinunciando alle passate pretese di guidare la cultura, le arti, il diritto e la politica di una umanità ormai emancipata. Questa vile e rovinosa prospettiva non ha niente a che fare con quella delle antiche catacombe cristiane, meno ancora con quella del Presepio. Lo scenario della Natività c'insegna a non cedere alle offensive anticristiane ma a pazientare e a preparare le nuove vie del Signore, le cui opere, come sempre, nascono nella piccolezza, nel nascondimento e nella umiliazione, ma al fine di crescere e imporsi nella grandezza e nel trionfo della gloria divina.
Torna agli articoli