"Emergenze" inquietantemente somiglianti
La storia dimostra che i movimenti sovversivi hanno spesso imposto ai popoli "salti di qualità" e "cambiamenti epocali" ricorrendo a emergenze che dovevano superare vere o dubbie o false crisi. Ciò è accaduto fin dalla Rivoluzione Francese, quando i massacri furono organizzati al grido di "la patria è in pericolo!" Lungo il XX secolo, l’accelerazione del processo rivoluzionario ha moltiplicato questi "stati di crisi", i quali da locali o settoriali o momentanei sono diventati sempre più globali e duraturi.
Da almeno quarant’anni, siamo sottoposti a emergenze di lunga durata che si succedono o si accavallano quasi senza sosta e che, spesso, da provvisorie diventano definitive. Basti pensare a quelle avviate dalla crisi ecologica, dalla offensiva terroristica, dalla infiltrazione islamica, dalle migrazioni di massa, dalla crisi finanziaria.
Tuttavia, oggi queste emergenze sembrano superate da altre due succedutesi a breve distanza a partire dal 2019: prima quella sanitaria partita dalla epidemia diffusa dal virus cinese (CoVi-D), poi quella energetica partita dalla invasione russa dell’Ucraina. Queste ultime due emergenze sembrano prepararne una terza e più grave, di carattere globale, che potrebbe mettere in ginocchio sia la prosperità che la libertà delle nazioni occidentali, ponendo così le condizioni per realizzare il famigerato progetto del Great Reset ("grande azzeramento") dell’economia, ma soprattutto della civiltà, occidentale.
Alcuni analisti hanno notato che queste emergenze, pur avendo origini, modi e tempi diversi, hanno precise somiglianze. Soprattutto, è simile il metodo con cui esse vengono prima annunciate, poi imposte e infine sfruttate a livello globale dalla propaganda mass-mediatica e politica, producendo risultati e favorendo finalità estranei al settore originario della crisi. Cerchiamo d’individuare alcune di queste inquietanti somiglianze che fanno pensare a una manovra rivoluzionaria concertata.
Propaganda della paura
Innanzitutto, protagonista dell’intera operazione è sempre la propaganda mass-mediatica, culturale e "scientifica", talvolta anche quella clericale. Essa presenta alla opinione pubblica la crisi del momento come se fosse imprevedibile e inevitabile, come un "segno dei tempi" o un evento della "storia in marcia" o una fase della "natura in evoluzione" o una "esigenza dei mercati". Dopodiché, per risolvere questa crisi, si pretende che la popolazione si adegui a nuove esigenze, rinunciando a passate convinzioni e correggendo lo stile di vita fino a ieri goduto. Lo slogan è: "niente sarà più come prima".
Dato che l’opinione pubblica diffida dei mass-media e ancor più dei politici, ma si fida della scienza, i promotori dell’emergenza in corso hanno cura di giustificarne l’esistenza e di accertarne la portata usando argomenti "scientifici" elaborati da comitati di "esperti" provenienti dal mondo intellettuale e accademico: climatologi, fisici, statistici, biologi, medici, virologi, sociologi, economisti. Lo slogan è: "lo ha accertato la scienza".
In realtà, almeno dal caso della bomba atomica (1943-1945), è spesso accaduto che non solo gl’intellettuali, ma anche gli scienziati, abbiano pubblicato analisi e diagnosi a loro richieste dal potere vigente, al fine di giustificare le decisioni che già intendeva prendere. Questo fenomeno si è aggravato durante le emergenze del nostro tempo, quando "comitati tecnico-scientifici" di nomina governativa hanno pubblicato analisi e previsioni gradite al potere politico-economico che li pagava e funzionali alle sue scelte.
Date queste premesse, la capillare e ossessiva propaganda mass-mediatica della crisi, per di più giustificata "scientificamente", getta l’opinione pubblica nel timore. Pertanto, essa non chiede spiegazioni, si preoccupa della propria sopravvivenza e si rassegna a subire tutte le conseguenze e tutte le misure imposte dalle autorità per affrontare l’emergenza, nella speranza che si tratti di una situazione momentanea che verrà presto risolta. Lo slogan è: "andrà tutto bene".
Questo clima generale di paura e di rassegnazione è il primo grande successo della manovra rivoluzionaria, che ottenebra la lucidità del giudizio della gente e ne riduce al minimo dubbi e dissidenze. Com’è noto, le conseguenze non solo psicologiche ma anche sociali di questa paura sono devastanti.
Repressione delle libertà
Una volta che la paura ha assicurato la generale passività della società civile, le autorità politiche tentano di sfruttare la situazione per imporre una sorta di regime di emergenza affidato non tanto a politici quanto a tecnici o esperti del settore in crisi ma spesso del tutto estranei sia alla volontà popolare che alle esigenze del bene comune.
Questo regime deve diventare capace non solo di controllare l’intera vita sociale, ma anche d’irreggimentarla – quasi nel senso militare del termine – in modo da ottenere una uniformità nel pensare e una mobilitazione generale nell’agire. Lo slogan è: "siamo in guerra", una guerra nella quale ogni elusione è diserzione e ogni rifiuto è tradimento.
Applicando gradualmente le regole di questa mobilitazione paramilitare, le autorità impongono alla popolazione una drastica procedura anti-crisi che, facendo valere lo "stato di eccezione", presuppone il funzionamento di un regime repressivo.
Infatti, questa procedura draconiana può realizzarsi solo sospendendo, talvolta anche sopprimendo, i diritti civili e politici acquisiti nelle democrazie, compresi quelli costituzionali, come quello di libera circolazione di persone e di beni, compreso quello di poter lavorare e guadagnarsi il pane. Lo slogan è quello lanciato nel 1919 da Trotskij; "chi non obbedisce non mangia".
La guida del regime viene affidata a un "Governo di unità nazionale", sostenuto dalla sostanziale complicità della intera rappresentanza parlamentare; è una nuova versione del metodo bolscevico applicato con successo da Lenin: "tutti i partiti al governo, tutto il potere ai soviet". Il Governo vuole evitare che alcuni partiti, rimanendo liberi da complicità governative, si facciano portavoce della possibile dissidenza al regime invocando diritti e libertà.
Se qualcuno obietta che la crisi può essere affrontata e risolta con metodi normali, rispettosi delle libertà costituzionali e delle procedure democratiche, la propaganda di regime risponde con un altro slogan: "non c’è alternativa".
Silenziamento delle opposizioni
Chi contesta questo regime di mobilitazione e di controllo globale viene accusato di essere un ribelle, un asociale, insomma "un nemico del popolo", usando modalità simili a quelle denunciate da Ibsen nella sua nota commedia omonima. I mass-media dominanti accusano questi "nemici" di essere complici della crisi, mentre le autorità politiche li accusano d’impedirne la soluzione. Questi dissidenti potranno essere perdonati solo se, adeguandosi al nuovo regime, si rassegneranno a "rientrare nella società dalla quale sono uscititi", come ha significativamente affermato il capo del Governo italiano (Draghi) in un suo discorso.
Parallelamente, l’emergenza impone di mobilitare non solo l’amministrazione e la burocrazia statali e para-statali, ma anche il deep State, ossia quell’apparato di vigilanza, di controllo e di repressione che non dipendono dalle scelte democratiche ma permangono nel sottofondo del sistema politico. A loro spetta di eseguire scrupolosamente le misure di controllo, isolamento e repressione decise dall’autorità, senza tener conto delle concrete situazioni locali, se non per inasprire quelle misure.
Ne abbiamo già un esempio nel sistema statale cinese, il quale, pur di sapere e controllare tutto. applica disinvoltamente tutte le misure sia legali che illegali, usando tutti gli apparati, sia ufficiali che clandestini. Lo slogan è: "il Governo ti controlla per il tuo bene".
Censura delle dissidenze
Per imporsi controllando l’intera vita civile, questo "stato di eccezione" tenta di limitare al massimo non solo la libertà di agire, ma anche quella di sapere, ossia il diritto di diffondere informazioni nascoste o negate dalla propaganda di regime.
Infatti, l’emergenza impone che i mass-media diffondano solo opinioni, analisi, notizie e dati provenienti dalle fonti o dalle agenzie "ufficiali e credibili", ritenute le sole capaci di spiegare e risolvere "scientificamente" la crisi. Lo slogan è: "le versioni non ufficiali sono inammissibili".
Pertanto, le fonti informative dissidenti vengono condannate come false e represse come dannose, mentre i giornalisti e gli opinionisti dissidenti vengono derisi, isolati, accusati d’"intelligenza col nemico", minacciati, declassati o deposti dagl’incarichi, anche accademici.
Com’è già accaduto in passato, i dissidenti che si ostinano a denunciare inganni e soprusi vengono trattati da fanatici, psicopatici, "complottisti" da curare con trattamento psichiatrico, come avveniva negl’"istituti di rieducazione" del mondo sovietico.
Com’è noto, molti Governi – compreso quello italiano – stanno elaborando nuovi provvedimenti che, aggirando le garanzie costituzionali, permettano allo Stato di sopprimere le fonti d’informazione dissidenti, comprese quelle diffuse da Internet.
Il cambio di paradigma
La propaganda mass-mediatica e la repressione del regime emergenziale svolgono un’altra funzione, ancor più devastante della mera disinformazione: quella di disorientare le menti, inquinare le coscienze e indebolire le volontà della popolazione.
Ad esempio, la propaganda ufficiale diffonde dati, valutazioni e analisi sulla emergenza che risultano essere non tanto falsi quanto del tutto contraddittori. Parallelamente, il regime impone alla popolazione provvedimenti "di salute pubblica" che risultano non tanto inefficaci quanto inutili e contrastanti tra loro. Ciò che prima era dichiarato falso o dannoso, poco dopo viene applicato come vero o benefico (o viceversa).
Nonostante ciò, i cittadini sono esortati a credere a quelle informazioni contraddittorie e ad applicare quelle misure contrastanti, con divieto di metterle in discussione; ogni criterio di verifica è visto come pericoloso per la "narrazione scientifica" del problema. Di conseguenza, la lucidità mentale e la coerenza logica della opinione pubblica, già compromesse dalla paura e dalla repressione, rischiano di essere spente da un’alternanza di contraddizioni che spinge verso la schizofrenia mentale.
Come meravigliarsene? Già da tempo, la propaganda culturale "postmoderna" ha esortato la gente a effettuare un "cambio di paradigma", soprattutto a rinunciare alla coerenza nel pensare e nell’agire e ad emanciparsi dalla logica e dalle regole, al fine di adottare un "pensiero incompiuto" che favorisca un’azione contraddittoria.
Il segreto della procedura di emergenza
La procedura rivoluzionaria sopra descritta consiste nel prevedere crisi imminenti – o, se non arrivano, nel suscitarne! – e nell’approfittarsene trasformandole in occasioni utili per imporre, sotto l’impulso della paura, uno stato di emergenza che favorisca un passaggio rivoluzionario.
In cosa si distinguono queste emergenze da quelle che giustamente richiedono l’intervento dell’autorità politica o economica o militare per risolvere una crisi? Semplicemente dal fatto che le emergenze rivoluzionarie sono pretestuose, sono mosse da intenzioni e usano metodi che non mirano alla soluzione della crisi ma anzi, talvolta, al suo aggravarsi, come facevano i partiti comunisti con le crisi economiche.
Lo si capisce dal fatto che, in questi casi, le misure propagandistiche e politiche imposte dal potere rivoluzionario sono del tutto sproporzionate rispetto al fine ufficialmente dichiarato, ossia la soluzione della crisi. Quelle misure o non risolvono la crisi, o la risolvono a un costo (soprattutto umano) del tutto eccessivo, un costo che è appunto il fine a cui davvero mirava la manovra emergenziale.
Ad esempio, rinchiudere per mesi un intero popolo nelle case è del tutto sproporzionato rispetto al preteso fine di arginare una epidemia. Oppure, sottoporre un intero popolo al controllo cibernetico è del tutto sproporzionato rispetto al preteso fine di reprimere i pubblici disordini. Oppure, privare nazioni delle fonti energetiche è del tutto sproporzionato rispetto al preteso fine di limitare l’inquinamento. Il lettore può aggiungere altri casi simili che abbiamo già visto.
Bisogna ricordarsi che il "principio di precauzione", sbandierato dal potere per giustificare simili provvedimenti inutili o dannosi, va inteso non solo nel senso che bisogna mettere in atto tutti i mezzi necessari per impedire o limitare una crisi, ma va inteso anche nel senso che quei mezzi non devono provocare danni maggiori dei benefici sperati. Il vero "principio di precauzione" impone di evitare misure drastiche e rovinose che, come si diceva una volta, bonificano il campo rendendolo sterile, oppure "guariscono il malato dalla malattia consegnandolo alla morte".
Le possibili alternative
Stando così le cose, l’attuale situazione potrà evolversi in tre modi diversi che preparano tre risultati altrettanto diversi.
Se l’opinione pubblica obbedirà senza riserve al regime "di salute pubblica" accettandone tutte le imposizioni emergenziali, il disastro sarà inevitabile. La vita sociale e politica, forse anche quella ecclesiale, verrà sovvertita per esaudire l’esigenze imposte dalle crisi ecologiche, migratorie, sanitarie o militari. Di conseguenza, la popolazione soccomberà ad altre crisi, cominciando da quella economica e sociale favorita dai provvedimenti pretesi risanatori.
Se invece l’opinione pubblica, mantenendo una certa diffidenza e ostilità al regime, ne accetterà solo in parte la propaganda e le imposizioni e rifiuterà quelle che più la sconcertano e la danneggiano, la popolazione dovrà destreggiarsi per resistere alla insidia di una politica che attenuerà l’emergenza non più creduta tale, ma solo per sostituirla con un’altra.
Se infine l’opinione pubblica si renderà pienamente conto dell’inganno subìto e si si ribellerà alle imposizioni del regime, allora sarà possibile che la popolazione si riprenda in lucidità e in determinazione, abbastanza in tempo prima che finiscano del tutto soffocate dalla propaganda e soppresse dal regime.
Ovviamente, noi ci auguriamo che si realizzi questa terza possibilità.
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