Copia link articolo


Scuola privata parentale:
punti fermi per una riscossa educativa



Intervento al convegno di Verona sulla Scuola Parentale, Roma, venerdì 19 maggio 2017

Quello di educare i figli è uno dei maggiori doveri del nostro tempo, ma ne è anche uno dei maggiori problemi. Infatti, oggi siamo vittime di una plurisecolare rivoluzione culturale che tenta d’influenzare l’opinione pubblica in senso progressista e permissivo e, in particolare, tenta di plasmare le coscienze delle nuove generazioni mediante i mass-media e l’educazione scolastica.

A mio parere, per risolvere questo problema, bisogna che genitori e insegnanti siano ben consapevoli dell’importanza del problema scolastico che qui riassumo, avvalendomi della ventennale esperienza avuta in Italia come direttore del Progetto SOS Ragazzi, ma anche del recente manifesto-appello, intitolato “E’ il momento della vera scuola cattolica!”, pubblicato dall’Osservatorio card. Van Thuan per la Dottrina Sociale della Chiesa (21 giugno 2022).

I. Bisogna che i genitori prendano sul serio il dovere di educare i loro alunni e siano ben consapevoli dell’importanza del problema scolastico come oggi si presenta.

Spesso, i genitori si preoccupano più del cibo materiale che di quello spirituale ricevuto a scuola dalla loro prole, oppure si preoccupano più del “bullismo” o dell’inquinamento ambientale che di quello culturale subìto dalla loro prole ad opera dei social media. Gli educatori, poi, spesso si preoccupano più delle condizioni materiali della scuola che di quelle culturali, particolarmente della qualità dell’insegnamento impartito nelle aule.

Eppure, sia il diritto naturale che la dottrina sociale della Chiesa impongono ai genitori il dovere morale di educare i loro figli; si tratta di un dovere primario, originario e fondativo. Questo dovere dà ai genitori il diritto di formare liberamente la loro prole alla verità, alla bontà e alla giustizia, secondo oneste esigenze ed aspirazioni, nei modi, nei luoghi e con i mezzi preferiti. Ciò può avvenire usufruendo di scuole adeguate e sicure o, dove non ci sono, aprendone di nuove o anche, se non è possibile, insegnando personalmente ai figli con l’aiuto d’insegnanti di sostegno (scuola parentale).

II. Bisogna che gl’insegnanti prendano sul serio il dovere di educare i loro alunni e siano ben consapevoli dell’importanza del problema scolastico come oggi si presenta. Sia il diritto naturale che la dottrina sociale della Chiesa impongono ai docenti il dovere morale d’insegnare agli alunni materie basate su programmi rispettosi della verità, non solo quella scientifica ma anche quella etica e religiosa.

Dato che l’ideologia progressista sta inquinando tutte le materie insegnate ad ogni livello scolastico, è ormai concretamente impossibile che i loro programmi restino del tutto “neutri”, come confermato dai temi recentemente imposti dal Ministero per gli esami di maturità. Bisogna quindi che gl’insegnanti correggano l’insegnamento in modo tale da renderlo rispettoso della verità, o almeno da non negarla apertamente.

Com’è noto, le “agenzie educative” sono innanzitutto la famiglia, ma anche la società civile – con le sue organizzazioni locali e settoriali – e le istituzioni come la Chiesa e lo Stato. Esse hanno il dovere di provvedere all’insegnamento scolastico, fornendogli tutti gli strumenti necessari e facendo in modo che anche le scuole private possano svolgere un ruolo pubblico, collaborando all’ordinamento formativo nazionale.

In particolare, le pubbliche autorità non hanno alcun diritto d’impedire a genitori e insegnanti l’esercizio della libertà educativa, ma anzi hanno il dovere di facilitarla mediante una politica scolastica rispettosa del principio di sussidiarietà. Ossia, in concreto, le autorità possono intervenire nel campo educativo solo quando e dove la famiglia e la società civile non sono in grado di fornire un adeguato insegnamento alle nuove generazioni.

III. Genitori e insegnanti devono essere ben consapevoli che oggi le pubbliche autorità e istituzioni non aiutano più la famiglia e la scuola nell’esercizio della loro missione educativa, anzi tentano di esautorarla opponendo ostacoli e divieti, col pretesto di una falsa concezione della laicità e neutralità del pubblico insegnamento.

Ad impedire la libertà di educare s’impegnano i “poteri forti”, sia quelli istituzionali – come lo Stato, il Governo, la Magistratura, la Scuola pubblica – sia quelli non istituzionali, come i partiti, i sindacati, le associazioni professionali, le organizzazioni non-governative, le lobby e soprattutto i mass-media.

In teoria, tutti questi poteri si dichiarano impegnati nella missione di “liberare” i giovani da ogni forma d’impedimento e condizionamento, non solo sociale ma anche morale e religioso. Tuttavia, in pratica, pretendendo di “obbligare a diventare liberi” (Rousseau, Marcuse), questi poteri possono solo imporre ai giovani una pratica di “de-programmazione” (Foucault) che è solo una programmazione rovesciata, un great reset culturale che cancella l’educazione ricevuta dai loro avi.

In particolare, lo Stato prevede di organizzare “corsi di rieducazione” non solo per gli alunni, ma anche per quei docenti colpevoli di rimanere succubi di una concezione pedagogica arretrata e repressiva, legata a ideologie moralistiche e superstizioni religiose. In questo modo, lo Stato diventa una sorta di utero artificiale che genera i propri cittadini, per poi plasmarli in base a una ideologia progressista che pretende di creare il tanto sognato “uomo nuovo” libero, eguale e fraterno.

Dapprima, in nome di un pluralismo che obbliga a “non-discriminare” le minoranze, lo Stato si è dichiarato estraneo a princìpi e valori morali o religiosi, dissuadendo in tutti i modi i docenti dall’insegnarli nella scuola. Poi però lo Stato ha cominciato a insinuare nella propria politica culturale e scolastica princìpi e valori trasgressivi e anticristiani, presentandoli come una sorta di morale civile o perfino religione civile.

Poi lo Stato ha cominciato a imporre questa cultura perversa nei programmi scolastici, all’interno della materia nota come “educazione civica”, o “educazione affettiva”, presentandola come condizione necessaria per inserirsi nella società e ricevere la patente di cittadinanza (green pass). Com’è noto, questa impostazione diseducativa del nostro Stato non fa che applicare le direttive ricevute da istituzioni sopra-statali o cosmopolitiche, come l’O.N.U., l’Unesco e la Commissione Europea, o come le grandi imprese che padroneggiano i mass-media e la farmaceutica.

Infine, oggi lo Stato si sta impegnando a combattere i genitori e docenti che, per opporsi a questo abuso, si ostinano a preservare i loro figli e alunni dalla diseducazione ufficiale. Non si può escludere che, un domani, il Governo oserà punire questi dissidenti togliendo a loro la potestà genitoriale o l’autorizzazione a insegnare.

IV. Genitori e insegnanti devono rendersi conto che, per impedire la retta e libera formazione delle nuove generazioni, lo Stato moderno può usare due metodi: quello repressivo o quello oppressivo.

Il primo metodo, quello repressivo, consiste nel riservare allo Stato il monopolio della pubblica educazione, vietando ai privati la possibilità di organizzare scuole indipendenti dal potere e dalla ideologia dominanti. Secondo questa impostazione, i figli appartengono non ai loro genitori ma alla collettività e quindi possono essere educati solo dallo Stato in base all’ideologia gradita al partito o alla setta dominanti. Questo metodo repressivo è usato dai regimi dittatoriali o totalitari, come le defunte repubbliche socialiste sovietiche o il tuttora vivente regime cinese.

Il secondo metodo, quello oppressivo, consiste nel permettere teoricamente l’esistenza di scuole private, ma nell’ostacolarne praticamente l’esercizio, che diventa inadeguato e inefficace e quindi poco influente sulla società civile. Ciò può essere fatto, ad esempio, rendendo la libera educazione economicamente costosa, fiscalmente vessata e burocraticamente complicata. Di conseguenza, l’insegnamento privato finisce relegato in pochi ghetti isolati, oppressi da problemi economici e sottomessi a ricatti politici.

In tal modo, un finto “libero mercato” dell’educazione, usando regole falsate in partenza, assicura il prevalere del concorrente più forte, ossia del regime semi-monopolistico statale o para-statale. Questo regime tiranneggia le scuole imponendo propri insegnanti, dirigenti, ispettori, programmi ministeriali, testi di studio, corsi di aggiornamento e di perfezionamento, che presto prevederanno “lezioni di pluralismo”, svolte secondo la regola del “politicamente corretto”, impartite a genitori e docenti ritenuti arretrati. Questo metodo oppressivo è usato da certi regimi detti democratici o liberaldemocratici o socialdemocratici, come quello italiano oggi vigente, sottomessi alle “dichiarazioni” e alle “proposte” emanate dalla Unione Europea.

V. Per giunta, il regime scolastico contemporaneo aggrava questo suo dominio sull’educazione, imponendo agl’istituti privati non solo di rispettare leggi e regolamenti nazionali e internazionali e di attenersi all’ideologia dominante, ma anche di applicare progetti e metodi educativi decisi dal regime stesso. E così, se ieri la “pubblica educazione” fascista fu abbassata a mera “pubblica istruzione” democratica, oggi questa finisce ulteriormente abbassata a pubblica diseducazione.

Infatti, oggi lo Stato osa ostacolare non solo la libera cultura e la libera educazione, ma anche la libera richiesta formativa avanzata dalle famiglie, quando è basata su valori o programmi o metodi ritenuti contrastanti con l’ideologia o la metodologia ufficiale dominante.

Com’è noto, quest’anti-pedagogia ormai mira a imporre il famoso modello di “civiltà meticcia”, ossia di una società “multietnica, multiculturale e multireligiosa” (e ormai anche “multisessuale”). A questo scopo, si prevede una educazione civica obbligatoria che prevede corsi curriculari o extra-curriculari di “educazione all’affettività”, “educazione sanitaria”, “educazione alla cittadinanza” ed “educazione alla inclusione”, al fine di vietare ogni forma d’intolleranza e discriminazione”.

Per imporre questo modello alle scuole, i poteri ufficiali e ufficiosi applicano una forma di censura che usa procedure inquisitoriali e diffamatorie promosse da mass-media, lobby, accademie, sindacati, organizzazioni professionali e organizzazioni non governative sia nazionali che internazionali. Oggi accade che pubbliche autorità condannino la dissidenza ideologica, fino a valutarla come un reato di opinione sancito da sentenze giudiziarie e punito con licenziamento, multa, carcere, sottrazione dei figli. Questi libertari agiscono all’insegna del celebre motto “nessuna libertà per i nemici della [nostra] libertà” (Robespierre).

VI. La Chiesa ha un ruolo pubblico sopra-eminente nel campo educativo, per cui ha il dovere-diritto originario e fondativo di formare le coscienze alla divina Sapienza, considerata come capacità di dare unità di senso alla vita in base ai princìpi primi e in vista dei fini ultimi scoperti dalla Fede.

Ma purtroppo – lo dico con dolore, da cattolico praticante – oggi bisogna rendersi conto che l’attuale Gerarchia ecclesiastica non ha alcuna intenzione d’impegnarsi seriamente nel campo della generica scuola privata, tantomeno in quello della scuola parentale.

Bisogna prendere atto che la Gerarchia ecclesiastica non crede più nella missione educativa della Chiesa, perlomeno da quando ha accettato quel Nuovo Concordato con lo Stato italiano (1984) che ha tolto alla Religione cristiana il compito di essere il coronamento della formazione culturale della società italiana. La Gerarchia preferisce che sia la società secolarizzata a formare le future generazioni, e si accontenta di fornirle quel facoltativo “supplemento d’anima” che si riduce a predicare e a insegnare il buonismo e il “religiosamente corretto”.

Da tempo le autorità ecclesiastiche, come la Conferenza Episcopale Italiana, si dimostrano poco interessate a risolvere il problema di una educazione giovanile spiritualmente inquinata. La C.E.I. è troppo occupata a impegnarsi per cause ritenute molto più importanti o urgenti, come l’inquinamento ambientale, la sanità pubblica, l’accoglienza degl’immigrati, la sicurezza nel lavoro, la disoccupazione, la corruzione economica, la delinquenza mafiosa, le “discriminazioni di genere”, etc.

Il massimo aiuto che tali autorità ecclesiastiche possono dare alle scuole parentali consiste in una fredda e passiva neutralità, che però può diventare ostilità nel caso in cui mass-media o autorità politiche o magistratura tentino di coinvolgere la Gerarchia nelle loro campagne contro la libertà scolastica. In Italia ci sono già stati spiacevoli casi di questo tipo.

Comunque sia, noi cristiani cattolici non possiamo permettere che la Chiesa ufficiale rinunci a quel ruolo nella formazione della società e particolarmente nella educazione dei giovani definito come “sopraeminente” da papa Pio XI nella enciclica Divini illius Magistri.

VII. Stando così le cose, bisogna che genitori e insegnanti provvedano ad assicurarsi la concreta libertà di sana educazione, organizzando il più possibile scuole private, particolarmente quelle parentali, rendendole sempre più diffuse, adeguate, efficaci e quindi influenti sulla formazione delle nuove generazioni.

Tuttavia, per passare dalle buone intenzioni a un’azione efficace che produca risultati duraturi, ci vuole l’impegno di una élite di genitori, insegnanti e imprenditori, che siano capaci di usare mezzi, metodi e strategie necessari per riorganizzare quanto di buono tuttora rimane nella società civile e religiosa. Ciò significa che non bisogna accontentarsi di scarsi risultati scolastici per sopravvivere in un ghetto, magari consolandosi con lo slogan “piccolo è bello”; non bisogna restare pochi, deboli e isolati; tantomeno bisogna rassegnarsi a “rifugiarsi nelle catacombe”, rinunciando a quell’azione nella vita civile che caratterizza l’educazione pubblica cristiana.

Bisogna invece sforzarsi di crescere fino a diventare capaci di affrontare e risolvere l’attuale problema educativo. Se vogliono avviare una riscossa vincente che salvi il futuro delle nuove generazioni, le associazioni di genitori, i ceti insegnanti e gli organismi educativi devono innanzitutto essere animati di spirito fiducioso e combattivo, ma devono anche dotarsi di una precisa strategia che permetta di fare efficaci e vasti progetti e di realizzarli dotandosi di competenze, alleanze, metodi, organizzazioni e mezzi (anche economici, ovviamente).

Inoltre, la scuola parentale deve evitare il rischio di ridursi a una sorta di casa-famiglia o casa-oratorio ampliato. Le scuole libere devono aspirare a costituire una sorta di moderna corporazione professionale, una rete di comunità docenti capaci di proporre un esempio educativo che diventi una forza motrice capace di coinvolgere ambienti più grandi e associazioni più potenti.

Se ciò non è momentaneamente fattibile, le scuole parentali devono almeno coordinarsi fra loro in modo da costituire una fitta rete di élites educative capace d’influenzare la società. Ad esempio, è opportuno che le scuole parentali, evitando d’isolarsi dalle istituzioni, stringano rapporti con quelle autorità o poteri locali, il cui aiuto può salvare le buone iniziative e il cui boicottaggio può invece sopprimerle.

VIII. Bisogna rendersi conto che la scuola privata parentale non potrà risolvere da sola il vasto e grave problema di educare le nuove generazioni. Per quanto l’iniziativa privata possa rafforzarsi ed estendersi, essa resterà minoritaria e non potrà mai dare una offerta esaustiva alla domanda educativa, sostituendosi al ruolo svolto dalla Chiesa e dallo Stato.

Pertanto, le famiglie prudenti devono evitare la tentazione di rinunciare a risanare la scuola pubblica, abbandonando la maggioranza dei ragazzi in balìa della (dis)educazione statale. Anche coloro che s’impegnano nella battaglia per la buona scuola privata devono far pressioni sulle autorità pubbliche, sia locali che nazionali, per costringerle a rispettare i loro obblighi verso quella cittadinanza che le finanzia mediante le tasse.

Pertanto, al fine di far valere i loro diritti di educatori, genitori e insegnanti devono informarsi sui regolamenti scolastici che ancora tutelano i diritti delle famiglie ad avere una scuola seria e sana e i diritti dei docenti a esercitare la loro professione secondo scienza e coscienza. Parallelamente, al fine di evitare ai loro figli e alunni di essere sottoposti a un indottrinamento e a una prassi diseducativi e corruttori genitori e insegnanti devono informarsi sulle manovre scolastiche che tentano d’inserire, o hanno già inserito, programmi o “aggiornamenti” immorali nei programmi curriculari o extracurriculari.

Bisogna far sì che le autorità scolastiche ritornino a promuovere il bene comune, i valori civili e la “normalità”, intesa come conformità all’ordine naturale e razionale e alle leggi che lo tutelano, in modo tale da favorire quella carità sociale che alimenta le virtù sociali e combatte i vizi sociali.

In particolare, lo Stato deve tutelare pubblicamente la buona fama dei valori educativi (sia etici che politici) incarnati ed espressi dalla famiglia, impedendo quella sua diffamazione sistematica e capillare che finora è avvenuta anche con la complicità e i finanziamenti delle pubbliche autorità e istituzioni.

Anche la politica culturale deve promuovere e difendere il ruolo educativo svolto dalla famiglia e dalla società civile. Si può farlo, da una parte diffondendo e difendendo i valori che rendono possibile la nascita e la crescita delle virtù domestiche, dall’altra parte combattendo i disvalori che offendono ed estinguono quelle virtù.

IX. In conclusione e soprattutto, bisogna che genitori e insegnanti abbiano piena fiducia che la divina Provvidenza li aiuterà nel compiere il loro dovere per opporsi all’offensiva dei poteri culturali, mediatici e politici che osano inquinare spiritualmente le nuove generazioni. Non auspico solo un “ottimismo della volontà”, perché non mancano le motivazioni razionali di sperare in una riscossa vittoriosa favorita da occasioni di riscossa.

Se il nemico anticristiano non osa ancora passare dalla persecuzione ideologica a quella cruenta, dalla gogna al carcere, è solo perché non si sente sicuro del suo successo ed anzi teme di provocare una sana ed efficace reazione popolare. Questo timore è giusto, perché tuttora sopravvive una opinione pubblica che, per quanto distratta, pigra, discorde e debole, non è ancora stata del tutto conquistata dall’attuale regime socialistoide, verso il quale essa mantiene una resistenza passiva, nell’attesa di tempi migliori. Le lobby e le sette che manipolano le istituzioni e i centri di potere non sono ancora riusciti a estinguere ogni possibilità di libera iniziativa, non solo culturale ma anche politica.

Non ci sono riusciti, perché c’è qualcosa che si frappone tra il regime conquistatore e la popolazione da conquistare: è la rete di famiglie, associazioni, organismi e strutture che costituiscono ciò che resta della “società civile” e dei “corpi intermedi” un tempo fiorenti e potenti. Questa rete di genitori, educatori ed organizzatori sono già riusciti ad ottenere insperati successi in molte nazioni europee – come in Francia e in Germania, dove ho avuto modo di constatarli personalmente. Gente coraggiosa come loro sta usando i pochi mezzi a disposizione per preparare la prossima vittoriosa riscossa della libera scuola cristiana.

Anche il fanciullo san Davide cominciò a combattere gl’invasori con una semplice fionda e poche pietre; ma poi, una volta cresciuto, si armò adeguatamente per guidare l’esercito israelita, vincere il nemico oppressore e fondare quel Regno di Gerusalemme, che fu solo una locale immagine dell’universale Regno della Santa Chiesa. A maggior ragione, noi, che abbiamo a disposizione armi ben più efficaci di quelle davidiche, dobbiamo avere fiducia nella vittoria per una causa ben più importante di quella di Sion.

24 Giugno 2022, festa del Sacratissimo Cuore di Gesù e di san Giovanni Evangelista



Torna agli articoli